La Capitale di Marino affonda nel default

La Ragioneria Generale dello Stato con una relazione al veleno dichiara il fallimento totale delle casse capitoline

La Capitale di Marino affonda nel default

Più che Roma ladrona, Roma spendacciona. Meglio di così non si può definire la situazione di deficit della Capitale che raggiunge picchi da Guinness dei primati. A fare le “pulci” alle varie amministrazioni comunali della Città Eterna negli ultimi dieci anni la Ragioneria Generale dello Stato con una relazione al veleno di oltre 300 pagine in cui, in sostanza, viene dichiarato il fallimento totale delle casse capitoline. Tanto più grave è la situazione dal momento che gli italiani hanno provato a salvare l’azienda Spqr con aiuti mai prima erogati: quattro miliardi di euro in cinque anni. Sacrifici, in parte, inutili. Oltre a tamponare le emergenze i soldi sono bastati appena per tirare avanti: dal 2009 nel 2012 ben 580 milioni di euro l’anno, secondo la relazione degli ispettori ministeriali che hanno lavorato un anno fra libri contabili e relazioni di bilancio, a cui si aggiungono altri 885 milioni di euro straordinari serviti solo a evitare il collasso.

E che non bastano a far “rientrare” Roma dallo stato di emergenza. Sotto accusa le spese esagerate delle varie amministrazioni, da quella targata Veltroni a quella di Gianni Alemanno per finire con quella attuale di Ignazio Marino. Soldi distribuiti a destra e a manca soprattutto per gli stipendi dei dirigenti. Come quelli sul libro paga di Atac, l’azienda comunale per il trasporto pubblico: dai 37 fino al 2008 ai 97 manager del 2010. Eppure l’Atac “vanta” perdite da capogiro: 130 milioni di euro l’anno (nonostante i mille milioni di euro incassati), con una punta record di 300 milioni di buco in bilancio nel 2010. Sarà un caso ma con numeri di questo genere nel 2012 l’Atac si permette di sborsare all’amministratore delegato Carlo Tosti un compenso di 377mila euro. Strano davvero considerando che la “sua” municipalizzata è stata capace di bruciare un miliardo e mezzo di euro in un decennio.

Oltre al buco nero nelle casse restano i problemi di sempre: servizi inefficienti (i pendolari dicono di peggio) e contratti ridotti all’osso tanto da rischiare la paralisi. O la sospensione del servizio già nei prossimi giorni, come annunciato all’inizio di novembre dal sindaco Marino, vista l’impossibilità di sanare il debito da 77 milioni di euro solamente nei confronti di una ditta subappaltatrice, la Tpl, che copre il servizio periferico della capitale. Unica ancora di salvezza, unificare le tre sorelle del trasporto di Roma e provincia, Atac, Cotral e Metro spa, e fare una cassa comune. In disaccordo gli stessi lavoratori che temono il fallimento totale delle tre consorziate. Come dire, si teme che l’Atac, con la sua gestione a dir poco fallimentare, trascini le altre in un baratro senza fondo. Del resto durante i lavori per trovare un piano di recupero è emersa una situazione terribile: l’Atac ha un debito anche con il Cotral per altri 40 milioni di euro. Solo nel 2013 i contribuenti hanno versato per la “questione romana” 485 milioni di euro, accollandosi debiti per altri 115 milioni di euro. Un unicum nella storia della Repubblica.

La soluzione? Un cambio di rotta mai effettuato, in grado di ripianare, almeno in un decennio, le casse pubbliche. L’analisi degli ispettori ministeriali è implacabile: malgrado gli aiuti Roma non ha mai cambiato i comportamenti nella gestione della cosa pubblica, i soli “colpevoli” del buco di bilancio. Nessuna decisione presa per adeguare il livello e i costi del servizio forniti dal Campidoglio alla realtà dei debiti e al denaro disponibile in cassa. I tecnici accusano: sono stati riprodotti “quei comportamenti che avevano portato a uno stato di sostanziale default nel 2008.

Per il proprio risanamento Roma Capitale ha fatto totale affidamento sull’intervento statale, senza realizzare in proprio alcuno sforzo per riportare in equilibrio i conti, nemmeno quando si trattava di far cessare comportamenti illegittimi”.

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