Dopo la maxi-truffa elettorale di domenica scorsa, è cominciato ieri il massacro della popolazione scesa in strada da parte della dittatura di Nicolás Maduro Moro, proclamato presidente dal Consiglio Nazionale chavista, il Cne, nonostante abbia perso le elezioni per quasi 40 punti.
Sia chiaro, si tratta di un regime di criminali e «burros», somari in italiano, come persino Elon Musk, che può piacere o meno (Maduro e il governo Lula lo odiano, l'argentino Javier Milei lo ama) ha scritto su X, riferendosi al dittatore venezuelano e chiedendo scusa «al mondo animale» e ai ciucci «per il confronto offensivo per loro». Lo dimostra il fatto che lo scorso ottobre Maduro non avesse previsto il successo delle primarie stravinte dalla leader dell'opposizione, Maria Corina Machado e, dunque, è stato poi costretto a bandirla dalla politica per 15 anni, costringendo la dialogante amministrazione Biden a reintrodurre le sanzioni sull'«oro di sangue» venezuelano, che erano state tolte dopo gli accordi di Barbados del 2023.
Ma i chavisti sono stati «asini» a non prevedere che il team di Maria Corina Machado (che ha convogliato il suo appeal elettorale sul semisconosciuto diplomatico in pensione 74enne, Eduardo González Urrutia) avrebbe raccolto e diffuso il 73,25% dei verbali dei seggi, digitalizzandoli su server protetti e mettendoli online sul sito resultadospresidencialesvenezuela2024.com in meno di 24 ore. Il mondo ha così visto come di irreversibile e provata c'è solo la vittoria di Edmundo, essendo la differenza tra lui e Maduro di oltre 3,5 milioni di voti. Avendo il candidato dell'opposizione ottenuto 6.275.182 suffragi, potrebbe avvicinarsi al record dei voti di Hugo Chávez nel 2012 (8.184.383) e di Maduro nel 2013 (7.517.999). E questo senza contare che almeno 4,5 milioni di venezuelani fuggiti all'estero negli ultimi 10 anni, pur avendone il diritto, non hanno potuto votare per imposizione espressa della dittatura.
Ora più che la pressione internazionale, fondamentale sarà l'atteggiamento degli alti comandanti dell'esercito, in primis la loro disponibilità a porre in essere la repressione sanguinosa ordinata da Maduro, quel «bagno di sangue» minacciato dal dittatore se fosse stato sconfitto, cosa che di fatto è avvenuta. E che Maduro abbia preferito aggrapparsi al potere fino al 2031 ricorrendo a una frode impossibile da nascondere, indica soprattutto la sua paura di finire in una prigione a lungo, visto che negli Stati Uniti è ricercato per narcotraffico e lui e la gang che lo sostiene sono noti alla Corte Penale Internazionale dell'Aja, dove i suoi crimini ed abusi dei diritti umani a suo carico aumentano ogni mese che passa.
Ieri il Centro Carter, con l'Onu la sola istituzione indipendente autorizzata a monitorare le elezioni venezuelane (insieme al brasiliano Celso Amorim, su mandato di Lula), ha annullato la pubblicazione di un rapporto preliminare e ha ritirato il suo personale dal paese. Da segnalare anche che l'esecutivo nazionale del PT, il partito del presidente brasiliano Lula, ha affermato in un comunicato che l'elezione di Maduro è stata «democratica e sovrana».
Ciò è avvenuto mentre il Wall Street Journal ha scritto che secondo i sondaggi il 25% dei venezuelani intende lasciare il paese se Maduro rimarrà al potere. Con la possibile vittoria di Trump e la chiusura del confine Usa andranno quasi tutti in Brasile e Colombia, due paesi i cui presidenti Lula e Petro sono da sempre partner di affari ed ideologia con il chavismo. Ieri sono saliti a sei i morti (e 700 gli arresti) durante le manifestazioni che da 48 ore infiammano il paese e, da oggi, ci sarà una ulteriore escalation.
Non a caso, da ieri il regime sta usando anche militari cubani e russi (Wagner) contro le migliaia di venezuelani che continuano, a costo della loro vita, ad abbattere le statue di Chavez (dieci finora). Che hanno oggi i piedi d'argilla, proprio come la dittatura di Maduro, lo sconfitto.
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