"Il carcere un incubo. Da ex detenuto invito il governo ad agire in fretta". Intervista a Marcello Dell'Utri

L'ex senatore, da 30 anni sotto inchiesta: "Vedo da sempre parole e niente fatti"

"Il carcere un incubo. Da ex detenuto invito il governo ad agire in fretta". Intervista a Marcello Dell'Utri
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È stato uno dei fondatori di Forza Italia, è stato senatore della Repubblica. Ed è stato per cinque anni in carcere. Se si vuole parlare dell'emergenza carceri, che è un volto cruciale dell'emergenza giustizia, è inevitabile andare a parlare con Marcello Dell'Utri. Che nel 2024 celebra un record tanto assoluto quanto amaro: è da trent'anni sotto inchiesta. Da trent'anni, una dopo l'altra, procure del sud e del nord indicano in lui il protagonista delle malefatte più inenarrabili: compresa la più celebre, quella come artefice della trattativa tra Stato e mafia, sgretolata in tutti i gradi di giudizio dalle sentenze di assoluzione. In questi giorni estivi, Dell'Utri legge con attenzione le cronache dalle carceri e dal Parlamento, l'aspro dibattito sulle soluzioni da trovare al sovraffollamento. E la sua reazione è secca, condensata in poche parole: il carcere è un incubo, il governo si muova.

Dalle carceri italiane arrivano ogni giorno notizie drammatiche: detenuti che si ammazzano, detenuti che si ribellano.

«Ormai assisto quasi ogni anno alla stessa scena, ogni anno riparte l'allarme. E ogni anno assisto a tante chiacchiere e a pochi fatti. A impressionarmi è questo, ci si straccia le vesti, e poi non si fa nulla. Io dico: sbrigatevi, fate qualcosa e fatelo in fretta. Non so dire se il ministro Carlo Nordio abbia davvero in animo di affrontare il problema. Io, da uomo che ha vissuto sulla sua pelle la condizione carceraria, mi posso solo augurare che faccia qualcosa e in fretta».

Da che parte bisogna cominciare?

«Costruire nuove carceri è necessario ma richiede tempo. Allora servono decisioni immediate, particolari. Sento parlare di sconti di pena, di liberazioni anticipate. Ma queste sono misure che riguardano solo i condannati. Invece quasi nessuno parla delle decine di migliaia di persone che sono in carcere in attesa di giudizio, senza mai essere state giudicate colpevoli di nulla, e che vengono ugualmente detenute in condizioni inumane. Nella grande maggioranza dei casi è gente che si potrebbe mandare a casa con un braccialetto elettronico, ma i braccialetti non si trovano, e così restano dentro. Io dico: quando si farà il giudizio si vedrà, nel frattempo non è giustizia tenere in galera persone che in tanti casi sono innocenti, che non hanno fatto nessun reato e che verranno assolte».

Com'è il carcere?

«Il carcere è un incubo, e devi essere ben preparato per sopravvivere a questo incubo. Ma per essere preparato devi sapere cosa ti aspetta, e invece non puoi mai saperlo perchè le regole è come se non esistessero, è un luogo di arbitrio dove il direttore è un dittatore, e dove ciò che è consentito a Rebibbia non è permesso a Parma».

Il governo di centrodestra è chiaramente diviso sulla risposta da dare all'emergenza carceri, c'è chi si preoccupa dei diritti dei detenuti e chi invece vorrebbe buttare via la chiave.

«Il concetto di buttare via la chiave" lo trovo inaccettabile, una cosa che non esiste. Capisco che ci siano nella maggioranza idee diverse, capisco che si parli di certezza della pena", ma c'è una via di mezzo in tutte le cose. Bisogna guardare i fatti concreti, le condizioni di vita delle carceri, e trovare soluzioni adeguate e dare a tutti i detenuti gli stessi diritti. Oggi non è così, ci sono carceri dove i cappellani e i volontari aiutano moltissimo a rendere la vita più vivibile, e carceri dove questo non accade. Lo Stato se ne frega, continua ad aumentare detenuti su detenuti e il sovraffollamento diventa cronico».

Nell'allarme di queste settimane sparisce il tema del 41 bis, il regime di massima sicurezza che è un carcere nel carcere, di cui qualcuno vorrebbe la abolizione. Lei che ne pensa?

«Che ci siano restrizioni alla normale vita carceraria per alcuni reati e per alcune figure di detenuti mi sembra inevitabile. Ma a volte le restrizioni avvengono fuori da ogni controllo e diventano eccessive, anche in questo campo a dettare le condizioni di vita è più la dittatura dei direttori che un sistema di norme precise e valide per tutti».

La Procura di Palermo, che l'ha indagata e accusata per decenni, oggi è nella bufera. Gli ex pm Pignatone e Natoli sono accusati di avere aiutato Cosa Nostra, il loro ex collega Antonio Ingroia spara su Pignatone dicendo che suo padre era in contatto con imprenditori mafiosi. Sta leggendo? Che idea si è fatta?

«Sto leggendo, sto leggendo... Io sono garantista nei confronti di tutti, e quindi lo sono anche verso i miei accusatori. Dico: lasciamo fare le indagini a giudici seri e competenti che ci diranno cosa è accaduto veramente in quegli anni».

Vuol dire che cose da capire ce ne sono ancora?

«Eh sì».

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