Condannato a sei anni di carcere (erano 9 ma sono stati ridotti dal rito abbreviato) per «morte come conseguenza di altro reato, lesioni e stalking». No, Marco Venturi, 45 anni, non è un assassino per la Procura di Milano, che lo ha assolto dall'accusa di omicidio volontario, maltrattamenti e lesioni (reati per i quali era stata chiesta una condanna a trent'anni) per la morte dell'ex compagna, la stilista 37enne Carlotta Benesuglio, trovata impiccata il 31 maggio 2016 a un albero dei giardini di piazza Napoli. Una giovane donna che secondo i magistrati sarebbe morta però probabilmente in seguito alle continue vessazioni, fisiche e psicologiche e alle minacce che il compagno le avrebbe inflitto almeno per due anni.
Una vicenda controversa quella di Carlotta, un giallo, per il quale la famiglia Benesuglio si è battuta, decisa a vederci chiaro a ogni costo. In attesa delle motivazioni, il primo verdetto sul caso, è arrivato con una decisione che ha sorpreso, la riqualificazione in «morte come conseguenza di altro reato» e la responsabilità di Venturi riconosciuta pure per episodi di lesioni e stalking contestati a partire dal 2014.
«Siamo contenti perché la responsabilità per la morte di mia sorella è stata ricondotta a Venturi, non è stato condannato a tanti anni ma noi volevamo ridare dignità a mia sorella e oggi questa cosa è stata fatta, credevo nella giustizia ed è arrivata», ha spiegato, tra le lacrime, Giorgia Benusiglio, la sorella con a fianco la madre della stilista. Già dal dispositivo si può capire, hanno spiegato i legali di parte civile, gli avvocati Gian Luigi Tizzoni e Pier Paolo Pieragostini, che il gup Raffaella Mascarino ha stabilito che la morte fu conseguenza di «condotte precedenti dolose» da parte del fidanzato. A mamma e sorella sono state riconosciute anche provvisionali di risarcimento da 200mila euro.
«L'ipotesi dell'accusa che Venturi abbia strangolato Benusiglio e inscenato il suicidio è completamente caduta», ha fatto presente l'avvocato Andrea Belotti che, assieme alla collega Veronica Rasoli, assiste Venturi, chiarendo che il 45enne «è deluso, perché è arrivata una condanna». Ciò che conta, comunque, ha aggiunto, «è che nessuno possa azzardarsi a definirlo l'assassino dell'ex compagna, questo è un punto a nostro favore e faremo assolutamente ricorso».
In sostanza, Carlotta potrebbe essere stata ridotta in uno stato tale, soprattutto psicologico, dai comportamenti di Venturi (anche schiaffi e calci per «moti di gelosia», secondo la Procura) da essere stata portata alla morte per impiccagione. E c'è da dire, poi, che il gup non ha optato per l'istigazione al suicidio. «Morte come conseguenza di altro reato» è infatti una ipotesi sovente utilizzata nei confronti dei pusher che vendono dosi killer, ma anche in una sentenza sul caso del suicidio di una vittima di estorsione. Per Venturi, passato negli anni da teste a indagato in via di archiviazione fino ad accusarlo di omicidio, il pm Francesca Crupi, che ereditò il fascicolo, aveva chiesto 30 anni per omicidio volontario, stalking e lesioni. La Procura aveva evidenziato, in base a filmati delle telecamere di sorveglianza, la presenza del 45enne sul «luogo del delitto», aveva ricordato l'ennesimo e pesante litigio tra i due durante quella serata in cui avevano bevuto molto e le discordanti versioni fornite dall'uomo. Sul caso pesavano pure tre provvedimenti (gip, Riesame e Cassazione) con cui è stata respinta la richiesta d'arresto per omicidio e una perizia medico-legale che stabilì che si sarebbe trattato di suicidio.
In più, un ultimo accertamento, disposto dal gup, col quale un perito informatico, dopo l'esame di alcuni minuti di filmato di una delle telecamere della piazza, ha concluso che una macchia scura non era l'ombra di una sagoma umana, ma un «artefatto dovuto alla compressione dei pixel nelle immagini».
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