Ringrazia, dà rassicurazioni e ha voglia persino di scherzare. Carola Rackete, comandante della Sea Watch 3, viene ritratta da chi la conosce serena, scherzosa e decisa a trovare un momento per sé, lontano dai riflettori puntati su di lei. E così, dopo l'udienza e l'attesa del verdetto, Rackete si prende una pausa che le servirà a concentrarsi in vista del 9 luglio, giorno in cui dovrà affrontare l'interrogatorio da parte del pool anti immigrazione della procura di Agrigento, vista l'accusa pendente sul suo capo di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Ecco spiegato perché l'autorità giudiziaria non ha firmato il nullaosta al provvedimento di espulsione emesso dalla prefettura di Agrigento. La Rackete ha lasciato la Valle dei Templi, troppo presidiata dai giornalisti, ed è stata accompagnata in altra località che viene tenuta segreta «perché fa sapere il portavoce tedesco della Sea Watch, Neugebauer ha ricevuto delle minacce».
«È ancora in Italia, ma non è detto che vi si trovi nelle prossime ore o giorni» informano dalla Sea Watch. E lo conferma l'avvocato Leonardo Marino smentendo così chi ha scritto che dovesse starsene in Italia fino alla data dell'interrogatorio: «È una persona libera, per cui può anche decidere di andare fuori dall'Italia e muoversi come le pare».
Il giorno dopo il verdetto del gip del tribunale di Agrigento, Alessandra Vella, che ha fatto della Rackete una donna libera, non accogliendo le pesanti accuse formulate dalla procura riguardo all'operato, perché sì il comandante ha infranto il blocco navale non fermandosi all'alt della Guardia di finanza e sì ha speronato (volutamente anche secondo il gip) una motovedetta delle Fiamme gialle, mettendo a rischio la vita dell'equipaggio (anche se il magistrato ridimensiona l'accaduto), ma porta pazienza, l'ha fatto, secondo il gip, mentre eseguiva un compito, per cui è giustificata, Rackete appare distesa dal momento che riesce anche a scherzare con la portavoce della Sea Watch, Giorgia Linardi: «Mi ha chiesto se era il caso di migrare in Australia ad occuparsi di albatros» ha detto la Linardi nella conferenza stampa convocata dalle associazioni alla stampa estera. Più che altro, forse, dovrebbe essere contenta di essere stata strumento per fornire alle Ong il via libera a entrare a piacimento nei porti italiani carichi di immigrati, senza preoccuparsi oltre di mancate autorizzazioni e di far danni a cose o persone. «Mi ha detto di ringraziare i legali per il lavoro fatto insieme perché Carola ha usato il tempo dell'isolamento per ricostruire l'accaduto ha proseguito e mi ha chiesto di mandare rassicurazioni e saluti all'equipaggio». E poi aggiunge: «La capitana sta bene. Ha trascorso tre giorni di isolamento, non si rende conto della risonanza che la vicenda sta avendo».
Non poteva mancare l'affondo al governo, che però si abbatte inesorabilmente anche su quella importante fetta di italiani che, concordi o meno sulla destinazione in Italia degli immigrati voluta a tutti i costi dalla Sea Watch, comunque sono rimasti straniti dal verdetto sulla Rackete, cui viene perdonato ogni reato per la «scriminante» legata all'avere agito «all'adempimento di un dovere», quello di salvare.
Ecco le parole della Linardi: «Che una nave umanitaria venga considerata la più urgente minaccia all'ordine pubblico, credo che questo renda ridicolo il Paese. L'ordinanza ristabilisce ordine sulla gerarchia delle norme e restituisce dignità al Paese».
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