Come è accaduto che nella Procura che fu un tempo di Francesco Saverio Borrelli, e dove insieme alla sostanza della giustizia si badava anche alla forma, oggi volino insulti da bar, che i pm raccolgano dossier sulle «porcherie» dei capi, che nei verbali si accumulino parolacce? Quale degrado dei rapporti umani, prima ancora che professionali, ha trasformato la procura della Repubblica di Milano nel ring dove imperversa quello che Borrelli avrebbe definito «linguaggio da trivio»?
Ieri con un lungo articolo l'Huffington Post solleva interrogativi suscitati dalla lettura dei verbali di Paolo Storari, il pubblico ministero milanese finito sotto processo penale e disciplinare per avere divulgato sottobanco gli interrogatori del «pentito» Pietro Amara sulla «loggia Ungheria». Sono verbali interessanti per il quadro che ne esce dei rapporti interni ad uno degli uffici giudiziari più delicati del Paese. Il «linguaggio postribolare» che l'Huffington rimprovera a Storari era forse figlio dello stress da interrogatorio, nelle quattro ore spese a discolparsi davanti ai colleghi bresciani. Ma è anche lo specchio di un deterioramento dei rapporti in cui l'obiettivo comune, dare ai cittadini un servizio giustizia efficiente e equilibrato, si è disperso tra protagonismi, cordate, faide.
È Storari, il 17 marzo 2021, a fare irruzione sul gruppo whatsapp della Procura, attaccando frontalmente il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e il procuratore capo Francesco Greco per la loro gestione del processo Eni. «A volte non si può stare zitti - scrive - a costo di perdere la propria dignità. Francesco non prenderci in giro, io so quello che è successo e un giorno andrò fino in fondo». Quel giorno adesso è arrivato, Storari è andato fino in fondo rischiando di finirci anche lui. Ma già le chat di un anno fa testimoniavano il degrado, una povera pm intervenuta a difesa di Greco si era sentita definire sprezzantemente «dama di compagnia».
Poi è arrivato il diluvio, Greco si è dimesso, De Pasquale è sotto inchiesta, Storari è stato (per ora) assolto ma il suo suggeritore Piercamillo Davigo è stato rinviato a giudizio. L'interrogatorio di Storari a Brescia, le cinquanta pagine in cui cerca di spiegare la improvvida pensata di allungare i verbali a Davigo pullulano di parole (dodici volte «ca...», cinque volte «mer...») ma a fare più impressione è il resto, la ricostruzione dall'interno delle dinamiche della giustizia milanese. Come quando Storari spiega che i verbali di Amara secondo Greco andavano tenuti chiusi nei cassetti per non turbare i rapporti con i vertici della Guardia di finanza: «Il colloquio si è svolto con Francesco, Francesco tu ci credi a sta roba di Ungheria, a quello che dice Amara?. Lui fa: Sì, secondo me è vero ma adesso non voglio fare niente perchè lì si parla di Zafarana (comandante generale della Finanza, ndr) e a me Zafarana serve per mandare Giordano al nucleo di Polizia valutaria a Roma». Dove il problema non è in sé la nomina di Vito Giordano, ufficiale ottimo e specchiato, ma l'intreccio di tatticismi impensabili sotto un altro clima.
Certo, Storari è un estremista, un donchisciotte. Ma la compatta sollevazione in sua difesa di quasi tutti i pm milanesi, nella lettera aperta che lo ha salvato (per ora) dal trasferimento d'ufficio si spiega solo con la sensazione diffusa che i vertici della Procura scambiassero ormai i processi «importanti» in battaglie dove tutto era lecito. I verbali sulla loggia Ungheria non si potevano usare contro Zafarana, ma contro i giudici garantisti del processo Eni sì. E andrebbe forse riscritta anche la storia della eliminazione a colpi di gossip di un giudice d'appello, sospettato di dubitare della colpevolezza delle banche Nomura e Deutsche Bank per il caso Mps. Altra battaglia campale che la Procura non vuole perdere.
Di questo degrado dovrà occuparsi ora Marcello Viola, il nuovo procuratore arrivato da Firenze con il mandato preciso di voltare pagina. Lo farà, assicura chi lo conosce, con calma e con energia. Ma prima che la pagina venga girata sul serio, andrà fatta chiarezza sui tanti punti ancora oscuri.
Cosa contiene, per esempio, il file intitolato «le porcherie di De Pasquale» che Storari aveva nel suo computer, e che ha consegnato ai magistrati di Brescia? E cosa intendeva dire Storari quando ai pm bresciani, con il solito linguaggio colorito, disse «sono sempre più convinto che questa roba è stata gestita una mer...»?
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