Il caso Pignatone imbarazza i giornalisti del "Sistema"

Il "Fatto" minimizza l'indagine. "Corriere", "Rep", "Domani" e "Stampa" scelgono un profilo basso

Il caso Pignatone imbarazza i giornalisti del "Sistema"
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Quando il Re è nudo, i cortigiani arrossiscono o scappano. La Procura di Caltanissetta guidata da Salvatore De Luca infanga l'ex maestro ed ex procuratore di Roma, Palermo e Reggio Calabria Giuseppe Pignatone in modo tagliente: con la complicità dell'ex pm Gioacchino Natoli e dell'allora capitano Gdf Stefano Screpanti, entrambi indagati per favoreggiamento aggravato, avrebbe sottovalutato alcune intercettazioni (un centinaio mai trascritte) tentando di distruggerle e annacquando l'inchiesta mafia-appalti, su cui lavorava Paolo Borsellino fino al giorno prima di morire, contro l'allora procuratore Pietro Giammanco, come ha recentemente scoperto la commissione Antimafia che ha desecretato alcune carte.

Pignatone, che si è avvalso della facoltà di non rispondere, avrebbe eseguito il volere di Gianmanco, di fatto salvando alcuni imprenditori mafiosi come Vincenzo Piazza, Francesco Bonura, i fratelli Antonino e Salvatore Buscemi e i vertici di importanti aziende nazionali i cui manager avrebbero stretto un patto sui lavori pubblici in Sicilia (vedi Raul Gardini). «Sono innocente», dice agli ex colleghi nisseni il magistrato in pensione dal 2019, oggi presidente del tribunale della Città del Vaticano («fino a quando?», si chiede l'azzurro Maurizio Gasparri). Come sostiene da sempre l'ex capo dei Ros Mario Mori, è in quel dossier il vero motivo dietro la morte di Borsellino e Giovanni Falcone, in vita ostracizzato dal Csm e dalla sinistra giudiziaria ed esaltato solo da morto. Un'ipotesi nata dai documenti ritrovati dal legale della famiglia Borsellino Fabio Trizzino e trattata con i guanti di velluto dai soliti giornali ciclostile del «Sistema» e delle Procure, alla faccia della libertà di stampa.

Il Corriere della Sera liquida la pratica con un pezzo neutro firmato Lara Sirignano da Palermo, non la firma di punta che ci si attenderebbe dal primo quotidiano italiano. «Trentadue anni trascorsi dal presunto reato significano prescrizione», è la tesi salvifica del Corriere, come se questa vicenda fosse solo giudiziaria.

Repubblica in prima pagina piazza un titoletto equivoco: non «Pignatone indagato» come scrive l'esperto Salvo Palazzolo (la notizia l'ha data lui per primo) ma «il nido di vipere della Procura», un traballante commento di Lirio Abbate, pieno di ambiguità e di sospetti. Sulla Stampa si esibisce Riccardo Arena: l'ipotesi non sta in piedi perché Natoli e Pignatone erano di correnti diverse, meglio un po' di sano garantismo viste le tante virtù di Pignatone («prudenza, avvedutezza, moderazione e cautela»).

A superarsi è il Fatto quotidiano. Un titoletto seminascosto in prima, due pezzi a firma di Giuseppe Pipitone, Saul Caia e Marco Lillo. I primi due confinano in una frasetta il legame tra Pignatone e gli imprenditori in odore di mafia («Già in passato il nome di Pignatone era stato legato a quello dei Buscemi»), il resto è un pezzullo semi innocentista scritto come un verbale. Lillo ricorda che dall'Immobiliare Raffaello dei Buscemi i familiari di Pignatone comperarono incautamente ma regolarmente immobili, box, appartamenti e ripostigli. Per queste vicende «fu già indagato e prosciolto», ricorda Lillo citando un libro di Marco Travaglio. A posto così.

Sul Domani invece Nello Trocchia la butta in caciara. Siccome Firenze indaga su Silvio Berlusconi e Mario Mori (ma anche su Ilda Boccassini) e Caltanissetta se la prende con Pignatone e Natoli allora «la verità più che avvicinarsi sembra svanire».

Mentre per l'ex Repubblica Attilio Bolzoni il dossier mafia-appalti è («gonfiato come un pallone, a dismisura) perché se non si indaga sul Cavaliere «la magistratura non scoprirà mai la verità». Così è deciso, l'udienza è tolta.

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