Patricia Tagliaferri
Roma Aveva sperato fino all'ultimo che la Cassazione potesse ribaltare una condanna al carcere a vita basata su una prova del Dna compatibile al 99,99 per cento. Una speranza, quella di Massimo Bossetti, che si è spezzata in tarda sera, quando i giudici della prima sezione penale sono usciti dalla camera di consiglio con il verdetto: ergastolo confermato. È Bossetti l'assassino di Yara Gambirasio, la ginnasta di 13 anni scomparsa da Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo, la sera del 26 novembre del 2010, dopo essere uscita dalla palestra dove di allenava e trovata morta in un campo a dieci chilometri dal suo paese tre mesi più tardi.
Per il Pg Mariella de Masellis, che aveva chiesto la conferma della condanna, il carpentiere di Mapello non ebbe nessuna pietà nei confronti di una tredicenne «inerme» e la lasciò «morire sola in quel campo» non lontano da Brembate. Il Dna trovato sugli indumenti della ragazzina, che per la difesa non appartiene all'imputato, secondo il Pg è stato «dirimente» nel dimostrare la colpevolezza di Bossetti: «Il Dna ha fatto parlare il corpo di Yara». E seppur il giudizio della Cassazione sia solo di legittimità, non di merito, quella traccia genetica, inizialmente battezzata «Ignoto1» e ottenuta grazie all'analisi di 25mila campioni di Dna raccolti tra gli abitanti di Brembate e dintorni in un'indagine senza precedenti, è restata il nodo centrale anche di questo processo.
«Fatemi la perizia e capirete che non sono il colpevole», era stato l'ultimo appello di Bossetti prima della camera di consiglio, quando i suoi avvocati, convinti che contro il loro assistito non ci fosse alcuna prova schiacciante, ancora speravano in un «impopolare ma coraggioso» annullamento dopo aver presentato un ricorso di oltre 600 pagine con cui chiedevano una superperizia sul Dna perché nell'analisi del profilo genetico di Bossetti, a dir loro, ci sarebbero stati «261 errori». Ma la prova del Dna non era la sola contro Bossetti. Il Pg ha ricordato che l'imputato era sicuramente nei dintorni della palestra il 26 novembre del 2010, quando Yara è scomparsa, come hanno dimostrato le telecamere della zona che hanno ripreso un furgone simile a quello del muratore e il fatto che il cellulare dell'imputato abbia agganciato proprio la cella di Brembate un'ora prima che venisse dato l'allarme. Un evento che ha travolto l'intera comunità, la scomparsa di Yara, tanto da rendere inverosimili i «non ricordo» di Bossetti. «Se a ciascuno di noi viene chiesto dove eravamo l'11 settembre 2001, tutti lo ricordiamo», ha osservato il procuratore generale. Sui vestiti della ragazzina poi, sono state trovate delle fibre tessili compatibili con quelle della tappezzeria del furgone di Bossetti e delle sferette di metallo del tutto simili a quelle trovate all'interno del mezzo. E ancora, a pesare, sono state le ricerche fatte su internet sulle adolescenti in pose osé che dimostrano l'ossessione del muratore per le ragazzine. Per l'accusa il profilo genetico con il quale si è arrivati a Bossetti era «corretto e assolutamente interpretabile». L'ipotesi avanzata dagli avvocati che si sia voluto creare in laboratorio un Dna artificioso o contaminarlo, per la pubblica accusa costituisce una «congettura a livelli di fantascienza». La Suprema Corte ha confermato l'assoluzione di Bossetti per il reato di calunnia ai danni di un collega che, dopo l'arresto, aveva cercato di incolpare del delitto per sviare le indagini.
«Il processo mediatico nuoce. Era meglio che lui stesse zitto fin dall'inizio ma restiamo convinti della sua innocenza». Così Claudio Savagni, il legale di Bossetti.
L'avvocato Andrea Pezzotta, avvocato della famiglia Gambirasio: «È andato come doveva andare: con quelli di oggi sono 39 i giudici che hanno trattato in varie fasi questo procedimento, e tutti hanno concluso per la colpevolezza di Bossetti».
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