La mattina dopo la lunga giornata di perquisizioni, arresti e proteste, la disobbediente Catalogna si è svegliata ancora più agguerrita. Durante la notte le proteste a macchia di leopardo hanno animato tutta la Comunità autonoma che vuole essere una Repubblica. A Barcellona gli indipendentisti in 60mila hanno invaso le strade per tutta la notte.
Un migliaio ha bloccato fino alle prima ore dell'alba l'ingresso del ministero dell'Economia, assediando gli agenti della Guardia Civil presenti nel palazzo. I manifestanti hanno squarciato le ruote e sfasciato i parabrezza dei furgoni della polizia mandata per le ispezioni da Madrid, al grido di «Oggi tornate a piedi». Soltanto con l'intervento dei Mossos d'Esquadra, la polizia catalana che simpatizza per la secessione, verso le 7 del mattino, si è aperto un varco tra i disobbedienti per liberare gli agenti.
Il governo spagnolo, dopo l'invio lunedì di 800 agenti in Catalogna in vista del referendum, ieri ha noleggiato alcune navi da crociera al largo della costa catalana per dare un alloggio ai rinforzi. Ne è seguito un grottesco tira e molla tra le capitanerie dei porti di Barcellona e Tarragona e le navi cui, per diverse ore, è stato negato l'attracco. A Palamos, (Nord della Catalogna), un'imbarcazione di agenti è stata dirottata sulla capitale catalana, dopo il dietrofront della capitaneria. I sindacati del personale portuario della Catalogna hanno annunciato il rifiuto a rifornire le navi degli «sbirri».
In mattinata, il presidente Puigdemont ha riunito il suo «gabinetto di crisi», ormai di guerra per gli animi della sua maggioranza ancora arroventati. La Generalitat non ha gradito l'invio della Guardia Civil a ficcanasare nei principali dicasteri. E non ha apprezzato l'arresto dei 13 alti funzionari della squadra organizzatrice del referendum. Sono state denunciate irregolarità e la mancanza di mandati. L'Assemblea Nazionale Catalana, la principale organizzazione della società civile indipendentista, ha convocato in tarda mattinata una concentrazione permanente davanti al palazzo di Giustizia di Barcellona, dove sono tuttora detenuti dieci dei tredici funzionari amministrativi arrestati mercoledì, dopo che tre di loro sono stati rilasciati giovedì.
Continuano, intanto, le indagini degli ispettori della Guardia Civil. Josep Maria Jové, segretario generale dell'Economia, braccio destro del vice presidente della Catalogna, Oriol Junqueras, rischierebbe, secondo alcune fonti, la condanna per «sedizione», il reato d'istigazione alla disobbedienza contro il «no» al referendum sancito dalla Corte Costituzionale che ha escluso la presenza del diritto all'autodeterminazione nella Carta. Jové rischierebbe dai 10 ai 15 anni di carcere. Lo stesso Junqueras è stato iscritto nel registro delle indagini, oltre che per «disobbedienza» e «prevaricazione», anche per l'utilizzo improprio di 6,2 milioni di euro di fondi pubblici dirottati sulla consultazione. Il referendum sarà «la più grande mozione di censura a Rajoy», ha detto.
E dritto per la sua strada, con un tweet a sorpresa, Puigdemont ha indicato il sito web con la lista di tutti i seggi elettorali della Catalogna dove sarà possibile votare il 1° ottobre.
Dalle pagine del Financial Times Luis de Guindos, ministro dell'Economia, ha offerto, nel caso la Catalogna rinunciasse al referendum, «più denaro, maggiore autonomia fiscale e lo studio di un miglior sistema di finanziamento».
Rajoy, è stato categorico: «Non andate avanti. Tornate alla legalità e alla democrazia». Infine, la Commissione europea ha ribadito che Bruxelles «rispetta l'ordine costituzionale della Spagna come con tutti gli stati membri».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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