Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, dice di non aver ancora "approfondito" bene il decreto Salvini. Eppure non manca di criticare le misure volute dal ministero dell’Interno. "È uscito in concomitanza con i nostri lavori", si scusa il cardinale. Forse sarebbe stato meglio prima studiare bene le carte e poi bocciare, o meno, il testo votato dal Consiglio dei ministri. Ma tant’è.
Il vescovo di Perugia, a margine del Consiglio Episcopale Permanente, non si sottrae alle domande dei giornalisti. E bacchetta il governo sia sul fianco grillino (reddito di cittadinanza) che su quello leghista (dl Migranti). Ma è soprattutto su quest'ultimo che si concentra l'attenzione del presidente dei porporati, i quali butterebbero in questo caso l'acqua sporca con tutto il bambino. Senza salvare nulla.
A destare maggior "preoccupazione" sono due passaggi in particolare del dl. Il primo, quello con cui viene abolito il permesso di soggiorno per motivi umanitari; il secondo, quello che impone una stretta alla concessione dei documenti. "Faccio ciò che mi hanno chiesto gli italiani", replica subito da Tunisi il ministro dell'Interno. Ma ai vescovi comunque non piace.
Secondo Bassetti l’abolizione dei permessi umanitari o la riduzione degli stessi "rischia di portare persone a futuro incerto". Non solo. Perché il cardinale critica anche "l'espulsione al primo grado di condanna", una norma che non "rispetta la Costituzione" e il principio di "presunzione di non colpevolezza". "Con questo decreto – aggiunge - si toglie ai prefetti e ai giudici la discrezione nel riconoscere la protezione umanitaria e l'unica possibilità resta nei permessi speciali per motivi civili come cure mediche o calamità naturali". Troppo poco per la Cei, dopo anni di vacche grasse e documenti facili per i migranti.
A far discutere è però un altro stralcio delle dichiarazioni di Bassetti, per come riportate dall’Agi. "La cittadinanza – dice il vescovo - verrebbe revocata anche per reati non gravissimi. Mi sembra che sia molto restrittivo". Qualcosa non quadra. A osservare il testo diffuso dal Viminale e pubblicato nei giorni scorsi dal Giornale.it, infatti, si legge chiaramente che la "revoca della cittadinanza" è prevista solo in un caso, ovvero quando lo straniero si sia macchiato di "reati di terrorismo accertati con sentenza definitiva". Esatto, terrorismo.
"La revoca – spiegava il ministero - viene adottata con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell’Interno, entro tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna per i reati in parola". Un lapsus? Forse. Un errore del vescovo? Si spera. Di certo un jihadista non può essere considerato un criminale che ha compiuto un "reato non gravissimo".