C'era una volta Schengen. Tornano muri e frontiere. Finisce il sogno epocale dell'Europa senza confini

Emergenze, allarmi, terrorismo, bisogno di blindarsi. Tra uno Stato e l'altro si rivedono agenti e controlli. Germania e Francia capofila della nuova tendenza. Che si allarga ai Paesi del Nord e dell'Est

C'era una volta Schengen. Tornano muri e frontiere. Finisce il sogno epocale dell'Europa senza confini

Ho visto lei, che controlla lui, che controlla me. Non è il tormentone canoro dell'ultima estate. È il male oscuro dell'Europa. Un male oscuro generato dai flussi migratori fuori controllo, ma alimentato dalla reciproca mancanza di fiducia e solidarietà tra stati membri. Un male oscuro che sta letteralmente cancellando le regole di Schengen sospese ormai da almeno sette paesi membri. Con quelle regole rischiano di scomparire, però, anche il sogno e la coscienza europea di 450 milioni di cittadini. Anche perché, prima che l'Ue diventasse realtà, l'idea di attraversarne le frontiere senza esibire un passaporto e senza dover cambiare valuta rappresentava un sogno comune capace di alimentare concretamente gli ideali unitari di tutti i suoi abitanti. Due condizioni realizzatesi grazie al trattato di Schengen e all'introduzione dell'Euro. Ora, però, almeno una di quelle due condizioni fondanti rischia di venir cancellata.

Partiamo dalla Norvegia. Il suo governo ha esteso fino allo scorso novembre i controlli ai punti d'attracco dei traghetti provenienti da Danimarca, Svezia e Germania. E questi ultimi tre stati non sono da meno. La Svezia citando i rischi connessi al passaggio di terroristi pratica le medesime verifiche su chi arriva da Norvegia, Danimarca e Germania. La Danimarca, invece, non tralascia i controlli su chi entra dal versante tedesco. E questo mentre la Bundespolizei di Berlino pretende i documenti ai valichi disseminati lungo gli 815 chilometri di confine con l'Austria. Una sospensione delle regole di Schengen approvata grazie alle deroghe semestrali previste dal Trattato e giustificata da Berlino con la necessita di arginare i crescenti arrivi di migranti partiti dalla Turchia e arrivati alle porte della Germania lungo la rotta balcanica. Peccato però che quella stessa deroga venga applicata anche alla frontiera con la Polonia e con la Repubblica Ceca. Lì la Bundespolizei ha ripreso a controllare gli accessi giustificando la mossa con la necessità di fermare i trafficanti di uomini. «Voglio agire in modo pragmatico - ha spiegato la ministra dell'interno socialdemocratica Nancy Faeser - dal mio punto di vista i controlli temporanei al confine polacco e ceco sono una possibile opzione per combattere più duramente i trafficanti».

La deroga, attuata in assenza di qualsiasi comunicazione alla Commissione e alle altre autorità europee, rappresenta l'ultimo colpo alle regole di Schengen, sulla libera circolazione. E viene allegramente e spregiudicatamente attuata da un governo socialdemocratico pronto, dall'altra parte, a usare la leva dei diritti umani per bloccare quel Memorandum tra Unione europea e Tunisia indispensabile per frenare gli arrivi sulle coste italiane. Del resto a subire le conseguenze della cancellazione di Schengen sul fronte tedesco-austriaco siamo sempre noi italiani. Per la regola del contrappasso Vienna segue con teutonica coerenza l'esempio di Berlino ed è tornata a schierare le guardie di confine ai valichi con l'Italia. Un esempio a cui si adegua anche la Slovenia che non ha perso l'occasione di inasprire i controlli ai valichi con una Croazia da poco ammessa dentro i confini di Schengen. La sospensione delle regole del Trattato di Schengen ai confini interni dell'Europa settentrionale ed orientale si replica peraltro alle frontiere francesi. Lì grazie alle ripetute e continue deroghe, richieste dopo le stragi jihadisti del novembre 2015 e giustificate con il rischio di nuovi attentati - Parigi ha sostanzialmente abrogato il diritto alla libera circolazione. Un'abrogazione applicata in maniera ancor più arbitraria alle frontiera di Ventimiglia. Lì alla cancellazione di Schengen si aggiungono quei respingimenti dei migranti verso l'Italia condannati, non più di una settimana fa, dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea.

Il vero paradosso resta però quello di un esecutivo tedesco pronto da una parte a sospendere la libera circolazione sui confini interni dell'Europa, e - dall'altra - a finanziare le navi delle Ong impegnate a traghettare migliaia di migranti nei porti italiani violando i confini esterni dell'Unione.

Deroghe e contraddizioni ancor più paradossali se pensiamo alla storia del Trattato di Schengen. Un trattato firmato nel giugno del 1985 dai capi di governo di Francia, Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo ospitati simbolicamente a bordo di un vascello impegnato a navigare la Mosella alla confluenza dei confini di Lussemburgo, Francia e Germania. A infrangere quell'immagine di placida e armoniosa convivenza transnazionale s'aggiungono, a quasi quaranta anni di distanza, i «muri» eretti alle frontiere europee dopo il 1989. In quell'anno fatale la riunificazione tedesca e la fine del Patto di Varsavia permisero l'espansione ed est dell'Europa e la concretizzazione dei suoi ideali e delle sue politiche. A trent'anni di distanza il ricordo della caduta del Muro di Berlino e il sogno di un Continente senza più divisioni e barriere rischiano, invece, di naufragare assieme agli ideali di Schengen. I muri ridotti al chilometro zero nel 1989 sono tornati a crescere ad allungarsi dopo il 1996 quando Madrid realizzò i primi venti chilometri di recinzione intorno alle enclavi marocchine di Ceuta e Melilla. Subito dopo fu il turno della Lituania, che nel 2000, cioè assai prima di entrare nella Ue, eresse al confine Bielorusso settanta chilometri iniziali di una barriera che oggi supera i cinquecento. Muri a cui si sono aggiunti i 38 chilometri di recinzioni voluti dalla Grecia lungo quel fiume Evros che delimita il confine con la Turchia.

Un esempio seguito dalla Bulgaria che - sulla stessa frontiera - ha innalzato 235 chilometri di recinzioni. Tutte opere abbondantemente criticate dalle istituzioni europee. Soprattutto quando lo stesso esempio è stato adottato dall'Ungheria colpevole di aver eretto tra il 2015 e il 2017 158 chilometri di recinzioni al confine con la Serbia e 131 al confine con la Croazia. Pochi però han proferito parola quando Parigi ha recintato e sbarrato gli imbocchi del tunnel della Manica.

O quando Austria ha costruito il primo muro al confine con uno stato Schengen erigendo una barriera di quasi quattro chilometri al confine con la Slovenia. Un muro diventato la pietra tombale di un'Europa nata dal sogno di un continente senza più barriere e senza più confini.

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