Charlie non è morto. Ma Charlie morirà. In ospedale e non a casa. I medici del Great Ormond Street Hospital di Londra hanno concesso qualche ora in più, forse un giorno, forse due, comunque un pugno, al bambino di 10 mesi con una grave malattia genetica a cui vogliono staccare la spina. «Abbiamo parlato con l'ospedale - hanno detto Chris Gard e Connie Yates, il papà e la mamma del piccolo - e ci hanno dato un po' di tempo in più da trascorrere con Charlie». Tempo che i due giovani genitori utilizzeranno per «raccogliere preziosi ricordi che potremo tenere con noi per sempre». Nei giorni scorsi i due avevano accusato la direzione del Great Ormond di avere troppa fretta e avevano affidato la loro angoscia a un videomessaggio che aveva scosso il mondo.
La condanna a morte è stata rinviata di poco. Un piccolo gesto di umanità in una storia che ne ha contenuta davvero poca. L'ospedale parla genericamente di «alcuni giorni» anche se al Daily Mail un'amica della famiglia Gard confessa la convinzione che il tasto «off» del respiratore artificiale che tiene ancora in vita quel piccolo corpo sarà premuto in questo fine settimana. Forse oggi. Forse domani.
Charlie soffre di una malattia astrusa, la sindrome da deplezione del Dna mitocondriale, che impedisce sin dalla nascita al suo corpo di alimentare da sé gli organi interni come fegato e cervello, che deperiscono inesorabilmente. Non c'è una cura. Non c'è una speranza. Non al momento. La vita di Charlie è in quelle macchine che fanno il lavoro che il suo corpo non riesce a fare. E che a mezzogiorno di ieri (le 13 in Italia) avrebbero dovuto smettere di funzionare in nome dell'«interesse prevalente del bambino» secondo i medici di quello che è considerato il migliore ospedale pediatrico britannico e dei giudici della Suprema Corte inglese a cui gli stessi sanitari mesi fa hanno chiesto il permesso di dare a Charlie una morte dignitosa senza accanimento terapeutico.
Connie e Chris però la pensano in maniera differente. Come tutti i genitori sanno che la speranza è l'ultima a morire e non vogliono che Charlie muoia prima di essa. Loro non si sono mai rassegnati alla sorte che un destino crudele sembra avere affibbiato al loro figlio. Già qualche mese fa avevano raccolto grazie alle donazioni di sconosciuti 1,3 milioni di sterline per organizzare il viaggio per gli Stati Uniti dove su Charlie i medici di una clinica avrebbero sperimentato un nuovo metodo nuclesidico che avrebbe potuto «riparare» il suo Dna farlocco. Un sogno che inizialmente il Great Ormond Street Hospital aveva appoggiato, pur con qualche perplessità, salvo fare marcia indietro quando le condizioni di Charlie erano peggiorate a causa di un encefalopatia. Da qui nello scorso marzo la decisione dell'ospedale di chiedere il permesso di interrompere la breve vita quasi sempre sedata di Charlie, a cui era seguito un ricorso dei genitori: respinto. Ricorso in appello: respinto anche esso dalla Corte Suprema l'8 giugno.
Infine ricorso tribunale dei diritti dell'uomo di Strasburgo per violazione della libertà di cura e un pilatesco nulla di fatto per mancanza di autorità. La Gran Bretagna s'indigna, il mondo s'indigna, in tanti rilanciano l'hashtag #JeSuisCharlieGard. Quelle tre mani unite, due grandi e una minuscola e stanca, hanno ancora poche ore per stringersi piano.
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