Fallito il tentativo di far nascere un Renzi bis, il presidente Sergio Mattarella si è dovuto arrendere e ha dato a Paolo Gentiloni l’incarico di formare un nuovo governo targato Pd. Una scelta che pone parecchi dubbi e incognite sia per il Paese sia per il Partito Democratico che è uscito con le ossa rotte dalla campagna referendaria.
Se il quesito sulla riforma costituzionale è stato una bocciatura del governo di Matteo Renzi, perché è stato scelto come successore il suo ex ministro degli Esteri? E se l’obiettivo della minoranza dem era quello di far cadere Renzi, perché ora si accinge a votare la fiducia a un suo fedelissimo? Un ex rutelliano che ha iniziato a fare politiche negli anni ’70 e che nel 2013 è arrivato terzo alle primarie del Pd per la scelta del candidato a sindaco della Capitale. Primarie nelle quali Gentiloni ha ottenuto solo l’8% dei consensi, dietro a David Sassoli e al vincitore Ignazio Marino. Una sconfitta che, per il Renzi prima maniera, avrebbe portato all’immediata rottamazione e, invece, a Gentiloni prima sono state aperte le porte della Farnesina e, poi, il portone di Palazzo Chigi.
Il Pd verso il Congresso
A bocce ferme, perciò, non si capisce se, dal voto del 4 dicembre, ne sia uscito peggio Matteo Renzi o i suoi oppositori interni. Da un lato c’è un ex premier che oggi si vanta di aver mantenuto la promessa di dimettersi, dall’altro Pier Luigi Bersani e i suoi che non sono ancora riusciti a riprendersi la “ditta”. Renzi, dopo aver fatto le sue “consultazioni” ed esser riuscito a imporre il nome di Gentiloni alle correnti del suo partito, è, infatti, libero di scrivere “torno semplice cittadino”, senza esserlo in alcun modo dato che resta il segretario del Pd. L’ex premier, finora, ha fatto solo un passo di lato per restare al riparo dai giochi di palazzo e dalle imboscate dei gruppi parlamentari dem e per progettare con pazienza la sua rivincita. Chi pensava che Renzi abbandonasse davvero non solo la poltrona, ma anche la politica, è rimasto deluso quanto le popolazioni africane che dal 2008 attendono il loro ‘salvatore’: Walter Veltroni. Una delusione che si leggerà anche nel volto degli esponenti della sinistra dem quando dovranno sedersi attorno a un tavolo per scegliere lo sfidante di Renzi al prossimo Congresso del Pd. In questi giorni il segretario, infatti, ha rinsaldato la sua alleanza con i franceschiani di Area dem, i ‘giovani turchi’ di Matteo Orfini e dell’ex ministro Andrea Orlando e la corrente ‘Sinistra è cambiamento’ dell’ex ministro Maurizio Martina, per assicurarsi la rielezione. Nel versante sinistro, invece, c’è Bersani che punta sul pupillo Roberto Speranza, il presidente della Toscana, Enrico Rossi, che mira a diventare il ‘Jeremy Corbyn italiano’ e quello della Puglia, Michele Emiliano, che gioca da battitore libero.
Il rischio scissione
A seconda del risultato, nel Pd, permane lo spauracchio della scissione. Al momento l’esito più scontato è una vittoria di Renzi anche se, ultimamente, l’uomo ci ha riservato piacevoli sconfitte (comunali e referendarie). Se il nascente governo Gentiloni non dovesse operare secondo i voleri del ‘capo’ la maggioranza renziana si potrebbe sfaldare e, se la data delle elezioni si allontanasse ulteriormente, a Renzi converrebbe abbandonare il Pd piuttosto che farsi logorare anche dentro al partito. Secondo gli ultimi sondaggi un PdR (partito di Renzi, come lo chiama Ilvo Diamanti) ha un bacino potenziale del 25/30% e, con una legge elettorale proporzionale, può dettar legge. Qualora, invece, la sinistra dem dovesse subire un’altra cocente sconfitta, sarebbe costretta a prendere atto che il Pd liberalsocialista ha il posto di quello ulivista e dovrebbe trarre la conclusione che il divorzio consensuale è l’unica soluzione per uscire da un’ambiguità politica che dura da tre anni.
In questo caso, però, i vari Bersani, Cuperlo e Speranza rischiano di creare soltanto l'ennesimo partitino a sinistra del Pd e di esser dipinti come dei 'Bertinotti qualsiasi', un'infamia che si possono evitare solo vincendo il Congresso. In un modo, o nell’altro, il Pd, attualmente il partito di centrosinistra più forte in Europa, vista la crisi dei socialisti francesi, è destinato a morire o a cambiare completamente pelle, anima ed elettorato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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