C'è un dato che mi ha non poco stupito nel compulsare i social media nel corso della campagna referendaria ed elettorale che si è da poco conclusa. E non riguarda, ovviamente, quanti Veneti parlino di autonomia, rivendicandola a oramai quasi cinque anni da quel 22 ottobre 2017 che tutti ricordiamo. Concerne, piuttosto, il fatto che della tuttora mancata attuazione taluno possa ritenere «responsabile» chi quel referendum si è inventato, ha fortemente voluto, giustamente rivendicandone l’enorme successo. Da componente sin dalla prima ora, della c.d. «Commissione trattante» per il Veneto, mi sembra allora giusto, corretto e doveroso scrivere queste righe per ricordare a chi con il diritto ha poca dimestichezza che la fase successiva allo svolgimento del referendum consultivo di allora, non dipende esclusivamente da chi governa la Regione. Magari così fosse ... ma non è. Vorrei ricordare ai «critici» di professione che la Costituzione italiana entrò in vigore il 1° gennaio 1948, dopo essere stata approvata con la maggioranza di 453 Costituenti su 515. Cioè con l’88% dei voti di un’Assemblea ove sedevano 207 democristiani, 115 socialisti di unità proletaria, 104 comunisti, 41 liberali, 30 appartenenti al movimento dell’Uomo Qualunque, 15 repubblicani ecc. Idee e sensibilità anche molto diverse fra loro, ma capaci di convergere compattamente sui 139 articoli della Carta fondamentali.
Eletto il primo Parlamento repubblicano il 18 aprile 1948, i cinque Esecutivi iniziali furono tutti a guida De Gasperi. Ad essi seguirono, fino al 28 giugno 1988, ben trentuno Presidenti del Consiglio tutti del pari democristiani e tutti appoggiati sempre dalle stesse forze politiche, quando non solo da democristiani. Eppure ... la Corte costituzionale iniziò a funzionare solo nel 1956, il Consiglio Superiore della Magistratura solo nel 1958, le Regioni a statuto ordinario solo nel 1970, a ventidue anni dall’elezione di quel primo Parlamento. E perché, pure a fronte di articoli della Costituzione che quegli istituti ed enti già prevedevano? Perché mancavano le leggi ordinarie di attuazione che non fu affatto facile approvare da parte della maggioranza (semplice) che sosteneva i Governi che via via si succedevano negli anni.
Ebbene, per dare attuazione all’art. 116, comma 3, Cost. (quello che concerne l’ «autonomia differenziata» del Veneto), una legge ordinaria nemmeno basta, perchè quella disposizione pretende una legge «a maggioranza rinforzata» e cioè tale da necessitare, per essere approvata, del voto non già dei soli «presenti» in Aula, ma dei «componenti» le due Camere. Quella che si sta giocando è una delicatissima partita a scacchi, cominciata dalla Regione Veneto, ma che non può essere chiusa solo da quest’ultima. Il fatto che non si forniscano, ogni giorno, notizie sulla partita in essere, non significa che essa non veda mosse continue e da una parte (Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia) e contromosse continue dall’altra (Governo nazionale).
Non solo, il cittadino che si lamenta non tiene conto di numerosi altri fattori che si incrociano sul tavolo da gioco. In questo particolare momento storico, il Governo Draghi è sorretto da una maggioranza ampia, sì, ma politicamente assai eterogenea. Il progetto della c.d. «legge quadro» di cui all’art. 116, co. 3, Cost., quand’anche fosse già pronto nelle mani del ministro competente per materia, non sarà mai portata nelle Aule parlamentari, ad affrontare il voto, da un Presidente del Consiglio che non sia certo di non perdere, su di esso, porzioni più o meno ampie della sua maggioranza. Di talché quel progetto deve mettere d’accordo quantomeno i parlamentari di PD, Movimento 5 Stelle, Lega e Italia Viva, i quali, sull’autonomia differenziata, hanno notoriamente idee anche molto diverse tra loro. Con, in più, un’ulteriore variante fondamentale, anche questa trascurata dall’ «uomo della strada».
In Parlamento, siedono deputati e senatori provenienti da tutte le Regioni italiane. E, anche se il fronte pro-autonomia va allargandosi pure ad altre realtà regionali molto importanti e significative sia per collocazione geografica che «per colore» di governo regionale, non tutte sono, diciamo così, «concordi» nel vedere riconoscere l’autonomia differenziata a quelle che -tra le ordinarie- producono più PIL delle altre. Una, poi, in particolare, è letteralmente terrorizzata all’idea e tutti i suoi intellettuali, politici, quotidiani, associazioni, centri-studio ecc. ... non fanno che diffondere dati che, quando non sono falsi, sono sempre molto molto discutibili. Epperò, anche i parlamentari di quella Regione siedono nella Camera e in Senato e potranno votare da politici e/o da rappresentanti del loro impaurito territorio.
Per concludere, non si può trascurare il «mitologico» PNNR, ad oggi destinato per il 40% al Sud, per il 30% al Centro e per il 30% al Nord. Dove i progetti e la possibilità di realizzarli ci sono ... andranno meno soldi. Dove c'è più bisogno, ma meno progetti e possibilità di realizzazione più a rischio, andranno più denari. Per non dire di quelli che, tra i diversi territori italiani, assorbono la stragrande maggioranza del c.d. discutibilissimo «reddito di cittadinanza». È tutto questo (...
e molto altro) a risultare costitutivo dell’andamento dell’assai complessa partita a scacchi che il Veneto -lo si sappia, o no- sta continuando a giocare, puntando, se non al «tutto» che aveva originariamente chiesto, quantomeno al «meglio» che può ragionevolmente ottenere.Ludovico A. Mazzarolli
Ordinario di diritto costituzionale Università di Udine
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