Chi sussurra il nome di Draghi per allargare la maggioranza

In un Parlamento liquido l'ex governatore potrebbe attrarre nuovi partiti. E anche Giorgetti lo profetizza

Chi sussurra il nome  di Draghi per allargare la maggioranza

All'ora di pranzo, mentre si precipita fuori da Montecitorio, Giancarlo Giorgetti, testa d'uovo della Lega, veste i panni dell'oracolo, predice il futuro e tira in ballo quello che nel Palazzo per molti è un sogno e per alcuni un incubo. «Questo governo è la sua profezia non dura. Vedo che traballa. Alla fine arriverà Mario Draghi, visto che in questo momento è disoccupato e non ha certo bisogno del reddito di cittadinanza. Del resto l'identikit di Renzi su quello che potrebbe essere il premier perfetto, corrisponde esattamente a Draghi. Noi al governo con lui? No grazie, aspettiamo di vincere con il 60%». Quella di Giorgetti sembra una boutade, ma fino ad un certo punto. I due sono amici e si stimano. Nel 2018 fu proprio una telefonata tra il numero 2 della Lega e l'allora presidente della Bce, a dare l'ultima spinta per la nascita del governo gialloverde: Draghi fece capire a Giorgetti che affrontare l'estate senza governo avrebbe messo a repentaglio la stabilità finanziaria del Paese.

Ora siamo punto a capo: è nato il governo giallorosso, ma, almeno per ora, non decolla né nel sentimento della gente, né nella qualità della sua politica. Per cui se si elaborano alcuni dati in un ipotetico computer che guarda al domani con l'esperienza del passato, non si può escludere che dopo aver approvato la legge di bilancio, aver affrontato una serie di elezioni regionali tra cui l'Emilia, aver spartito le nomine dei grandi Enti, aver dato vita a scontri sul decreto «fisco e manette» nelle aule parlamentari («non penso che Mattarella lo firmerà», osserva Renzi), sul giustizialismo di Bonafede o sull'Ilva, e aver tentato invano di salire nei sondaggi, nella tarda primavera la forza propulsiva del Conte bis si sarà esaurita e per risorgere nell'area della maggioranza qualcuno potrebbe pensare all'opzione di un altro governo. Anche perché l'ipotesi di nuove elezioni, che qualcuno ventila, è puro esercizio accademico: il 18 gennaio entrerà in vigore la legge per la riduzione dei parlamentari che diventerà uno spauracchio per tutti coloro che vorranno intraprendere la strada delle urne, visto che un terzo degli attuali deputati e senatori non potrà più tornare; e qualora si raggiungessero le firme per indire un referendum confermativo sul provvedimento (cosa probabile visto che al Senato già sono state raccolte più di 40 firme sulle 65 necessarie), a quel punto sarà il presidente Mattarella a garantire che sia celebrato (in fondo è quasi un dovere costituzionale). Per cui basta guardare al calendario per scoprire che non si parlerà più di elezioni fino giugno.

Va da sé che un governo precario e l'impossibilità di votare, sono le condizioni migliori per sperimentare. O meglio, per cimentarsi nella complessa impresa di dare al Paese, per usare un'espressione di Renzi, «un governo vero, vero, vero». E anche se l'interessato risponde nella sua ultima conferenza stampa da governatore della Bce che per il suo futuro bisogna chiedere alla moglie, il governo con «tre V» finisce per chiamare in causa inevitabilmente Mario Draghi: il nome che Giorgetti pronuncia pubblicamente magari per esorcizzarlo («ma chi glielo fa fare a ficcarsi in questo casino?!» è lo scetticismo interessato del vicesegretario della Lega, Lorenzo Fontana); il nome della speranza che Renzi cela in pubblico e sussura un privato. Del resto tutte le mille elucubrazioni in cui si dilettano gli addetti ai lavori sono più problematiche di quella di Draghi, anche quella che va per la maggiore cioè un governo Di Maio, con Renzi ministro degli Esteri e un esponente de Pd al Quirinale. L'inamovibilità di Conte, infatti, può essere messa in discussione solo da un equilibrio più alto, cioè un nome che allarghi la maggioranza attuale. E su Draghi, in un Parlamento «liquido» come l'attuale, può nascere una maggioranza trasversale. Del resto i segnali di «disarticolazione» e «aggregazione» nella geografia politica in questa fase sono quotidiani: Giuseppina Occhionero, di Liberi e Uguali e compagna di banco a Montecitorio di Pierluigi Bersani, è passata con Italia Viva; mentre Renzi parla in privato di 5 deputati di Forza Italia in arrivo. E sul nome dell'ex presidente della Bce gli schieramenti di oggi si sciolgono e sono pochi quelli che dicono di «No». Il perché lo ha spiegato, Dario Francheschini, soprannominato «de furbis», in una lezione sul tema che ha impartito ai suoi più fidati collaboratori: «Chi può votare contro la Madonna?! Nei fatti Draghi è il premio Nobel dell'Economia mondiale». «Io ho sempre teorizzato osserva Iole Santelli, coordinatrice di Forza Italia in Calabria che il governo Conte sarebbe stato un ponte verso il governo Draghi. Ho già detto a Berlusconi che io lo voto in ogni caso. Certo bisogna vedere se Draghi è interessato, ma la premiership di un governo con una maggioranza larga è propedeutica al Quirinale». «Magari! Ma penso azzarda un altro azzurro, Matteo Perego - che sia punti più a dirigere qualche istituto finanziario di livello mondiale come Goldman Sachs. È anche vero, però, che Palazzo Chigi potrebbe essere un buon viatico per andare al Colle che è un traguardo unico». Il grillino Luca Carabetta, invece, non si sogna di andare oltre un prudente «no comment». Per cui alla fine il più scettico è Pierluigi Bersani. «Nel Paese spiega non c'è aria per un governo tecnico. Al di là di Draghi. Basta guardare all'elettorato di Salvini, che insorgerebbe. Sarebbe un'operazione fuori fase». Bersani, però, è ancora bruciato dall'esperienza del governo Monti. A lui qualsiasi «governo tecnico» farebbe venire l'orticaria. «Emmo za daeto!», abbiamo già dato, dice in dialetto genovese il fedele Federico Fornaro.

Solo che Draghi non è Monti. È la «Madonna», per usare l'espressione di Franceschini. Per cui alla fine il destino di Draghi dipenderà, innanzitutto, da Draghi. Il quale da convinto europeista potrebbe anche essere interessato all'impresa di raddrizzare un Paese come il nostro da troppo tempo anemico dal punto di vista economico. «Una manovra del governo Draghi confida il piddino Stefano Ceccanti sarebbe insindacabile anche dalla Ue». In più sullo sfondo c'è, appunto, il Colle: c'è chi è convinto che Palazzo Chigi sia un ottimo trampolino di lancio; e chi no. Di sicuro dare una dimostrazione dei benefici che può portare al Paese la sua autorevolezza a livello internazionale, potrebbe giovargli.

Tutto, però, come ha detto ieri da Draghi, dipende dai desideri di sua moglie. Dando in questo modo ragione ad Erasmo da Rotterdam, l'autore dell'Elogio della follia tanto citato dal Cav, che diceva: «In gran parte i mariti sono come li fanno le mogli».

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