Chi usa l'esca anti-Israele per i voti degli estremisti

Il caso La Regina non è isolato: da Craxi a D'Alema e Boldrini, la sinistra attratta dalle bugie di Gaza

Chi usa l'esca anti-Israele per i voti degli estremisti

Molti miei amici di sinistra non sono affatto antisemiti, anzi, capiscono e sostengono lo Stato d'Israele. Ma sono l'eccezione, non la regola. La «faccenda» dei post antisraeliani di La Regina non è un caso disgraziato che riguarda il carattere di un giovane ignorante, un incidente. L'uso dell'antisemitismo antisraeliano come arma di consenso, come esca sui social media, come visione del mondo o come modo d'essere (antimperalista, antirazzista, terzomondista, globalista etc) e quindi, in questo periodo, come attrazione elettorale cospicua e utilizzabile, è anzi molto attraente perché è di massa. Una fetta non piccola di elettorato pensa che Israele non abbia diritto di esistere, che sia uno Stato di apartheid, che il bds, ovvero il boicottaggio e il disinvestimento siano un'arma dovuta. Ogni 83 secondi, sui social appare un post antisraeliano-antisemita; i dati sono in crescita verticale, come verifica il Rapporto Annuale sull'Antisemitismo del Centro per lo Studio dell'Ebraismo Contemporaneo dell'Università di Tel Aviv. Leader come Jeremy Corbyn, la cui stella è poi declinata, ne hanno fatto una bandiera; più del 25% degli ebrei nelle città europee si sentono insicuri e molti se ne vanno. Nizza da 20mila ebrei e passata a 3000, un trend che sta decimando le comunità.

La Regina ha scritto uno slogan efficace; come dice la scrittrice Ruth Wisse, popolarizzare l'odio antiebraico, paga. L'anno scorso in Germania, gli attacchi antisemiti sono cresciuti a 3028 da 2351, e crescono in Francia, Inghilterra etc. «Kill the jews» è uno slogan comune. Che per Israele si intenda il popolo ebraico è facilmente deducibile dagli attacchi continui alle sinagoghe, ai negozi, alle persone, dalle menzogne e dai «blood libel». L'«Occupazione» è oggetto di continue proteste, ma le Ong se ne infischiano delle occupazioni del Tibet, di Cipro, del Sahara... L'antisemitismo è carne e sangue della sinistra, per liberarsene deve prendere atto delle sue fondamenta teoriche (Marx, Proudhon, Bakunin) e storiche. Lo stalinismo avviò la «nazificazione» di Israele che oggi culmina nell'assurda accusa (tutta di sinistra) di apartheid; ha arato tutti i terreni delle Ong rendendoli complici di un odio inveterato verso lo Stato Ebraico. La New Left americana ha approfondito il solco col «suprematismo bianco ebraico» e gli ebrei sono diventati il nemico fantasticato dei movimenti antioppressione. È dunque un lavoro indispensabile quello che deve estrarre il cancro antisemita e ristabilire la verità su un Popolo e un Paese il cui peccato è quello della sopravvivenza democratica a costo di una battaglia infinita. Lo storico comunista Alberto Asor Rosa scriveva che l'ebraismo «da razza deprivata è diventata una razza guerriera, persecutrice e omologata alla parte più spregiudicata del sistema occidentale». Anche Natalia Ginzburg rimpiangeva «l'Ebreo curvo» e disprezzava quello «abbronzato».

Su questa base, Craxi giustificava il terrorismo, D'Alema pensava che Israele «rinchiuda i palestinesi dentro un Bantustan» e chiamava la guerra a Gaza «spedizione punitiva», la Boldrini ha invitato alla Camera Mohamed Ahmed al Tayyeb, l'Imam che invoca la distruzione di Israele, le manifestazioni dell'Anpi per il 25 aprile con le bandiere degli Hezbollah e dei Palestinesi cacciano la Brigata Ebraica, Di Battista e Grillo dicono cose così violente che chi scrive ha difficoltà a riportarle... Il lavoro a sinistra non consiste nel cacciare La Regina: è grande quasi come quello intrapreso e certo non concluso dalla destra, che almeno è stata costretta alla gola dalla storia. Qui, invece, il campo è intonso.

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