"Chiedo scusa, parole stupide. Temevo Filippo si suicidasse"

Il padre dell'assassino di Giulia risponde agli attacchi: "Non voglio normalizzare i femminicidi, ero solo disperato"

"Chiedo scusa, parole stupide. Temevo Filippo si suicidasse"
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Una figlia senza futuro, Giulia Cecchettin. Un figlio, Filippo Turetta, che un futuro, anche se in carcere, ancora ce l'ha. Storia di un omicidio atroce, storia di due famiglie ora distrutte, storie di genitori e figli. Le parole di Nicola Turetta, padre del ventiduenne reo confesso dell'omicidio della fidanzata, pronunciate a dicembre durante un colloquio in carcere dopo l'arresto, sono un macigno: «Eh va beh, hai fatto qualcosa, però non sei un mafioso, non sei uno che ammazza le persone, hai avuto un momento di debolezza. Non sei un terrorista. Devi farti forza. Non sei l'unico. Ci sono stati parecchi altri. Però ti devi laureare..». Parole gravi. Il colloquio viene pubblicato dai giornali sabato. Segue una pioggia di indignazione e giudizi morali. Anche qualche riflessione, sulla morbosità della cronaca e sulla necessità di certe notizie.

Intervengono in molti, anche Elena Cecchettin, sorella di Giulia, parlando di normalizzazione dei femminicidi nei contesti patriarcali. «Ci sono altri 200 femminicidi! - le parole di Turetta al colloquio registrato - Poi avrai i permessi per uscire, per andare al lavoro, la libertà condizionale. Non sei stato te, non ti devi dare colpe perché tu non potevi controllarti».

Dopo 24 ore è lo stesso Turetta a provare a spiegarle, a chiedere nuovamente scusa, e stavolta non per le azioni del figlio. Si percepisce il senso di inadeguatezza, la comprensione per il nuovo dolore provocato ad altri e la profonda vergogna, la stessa che gli faceva tenere gli occhi bassi davanti a decine di telecamere puntate come pistole. Quello sguardo che tutta Italia ricorda, che nessun genitore prega di dover mai portare sul viso. Turetta risponde al Corriere del Veneto: «Chiedo scusa per quello che ho detto a mio figlio. Gli ho detto solo tante fesserie. Non ho mai pensato che i femminicidi fossero una cosa normale. Erano frasi senza senso. Temevo che Filippo si suicidasse. C'erano stati tre suicidi a Montorio (il carcere di Verona, ndr) in quei giorni. Ci avevano appena riferito che anche nostro figlio era a rischio. Quegli instanti per noi erano devastanti. Non sapevamo come gestirli. Vi prego, non prendete in considerazione quelle stupide frasi. Vi supplico, siate comprensivi». È stata la paura a muoverlo, la disperazione di un padre. «Io e mia moglie Elisabetta avevamo appena trovato la forza di tornare al lavoro. Abbiamo un altro figlio a cui pensare, dobbiamo cercare di andare avanti in qualche modo, anche se è difficilissimo. Ero solo un padre disperato. Chiedo scusa, certe cose non si dicono nemmeno per scherzo, lo so. Ma in quegli istanti ho solo cercato di evitare che Filippo si suicidasse». Sul consiglio al figlio di continuare gli studi: «Glielo ho detto per tenerlo impegnato».

Di Filippo dice che oggi «si rende conto di quello che ha fatto. Vuole scontare la sua pena. Non ha nessuna speranza o intenzione di sottrarsi alle sue responsabilità». Le ultime sue parole sono ancora di scuse. «Mi dispiace davvero tanto. Provo vergogna per quelle frasi».

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