La Chiesa che lotta non è più in Europa

La Chiesa che lotta non è più in Europa

Cardinali che scardinano, i nuovi diciassette porporati che Papa Francesco ha annunciato ieri. Che scardinano la centralità della Chiesa europea rispetto alla Chiesa universale: una tendenza in atto da tempo ma che quest'ultima infornata mostra come irreversibile. É vero che il Vecchio anzi ormai Vecchissimo (dal punto di vista demografico) Continente è ancora maggioritario nel Sacro Collegio ma basta dare un'occhiata alle date di nascita per capire che presto questo antico privilegio si dissolverà come tanti altri ormai consegnati ai libri di storia e penso all'Impero britannico cantato da Kipling, all'Africa orientale italiana raccontata da Montanelli... I cardinali europei somigliano, e come potrebbe essere altrimenti, ai cattolici europei: troppo vecchi per poter rappresentare il futuro. L'esatto contrario del neocardinale centroafricano dal cognome impronunciabile, Nzapalainga, che ha solo 49 anni e rappresenta un'arcidiocesi, quella di Bangui, che nell'ultimo decennio ha visto raddoppiare il numero di battezzati e crescere nettamente le vocazioni sacerdotali così come la presenza cattolica sia in termini assoluti (segno che laggiù ancora si fanno figli) sia in termini relativi (segno che laggiù sanno come contenere l'islam). Difficile accusare il Papa di terzomondismo: come fai a non valorizzare una realtà così? Sono i numeri a esigerlo. L'ipotesi del Papa Nero, un tempo folcloristica e buona per ispirare canzoni ridanciane (mi riferisco ai Pitura Freska e al loro successo del '97), appare sempre più seria. E anche piuttosto auspicabile se penso al cardinale Sarah, Guineiano color ebano che ama la messa in latino più di tutti gli esangui vescovi italiani messi insieme. Sarah si batte contro l'omosessualismo, contro il femminismo, contro la teoria del genere che ha definito «frode immorale e demoniaca», insomma è un fior di conservatore espressione di una Chiesa, quella africana, che nel suo complesso sembra essere contemporaneamente giovane e tradizionalista, l'esatto opposto della Chiesa tedesca al contempo progressista e decrepita: mi sembra improbabile che uomini espressi da chiese fresche ed entusiaste siano portati a svendere l'identità cristiana come abitualmente fanno gli ecclesiastici europei. Personalmente avrei fatto volentieri a meno della nomina dell'arcivescovo di Bruxelles, monsignor De Kesel. Perché mai premiare con una berretta rossa la capitale dell'apostasia europea? A Bruxelles la metà dei bambini che frequentano le scuole statali è di religione islamica e i cattolici praticanti sono ridotti al 12%, molto meno dei frequentatori di moschee.

Ma grazie a Dio non sono io il Papa: può darsi che Francesco con la nomina dello slavato De Kesel abbia voluto smentire l'impressione che il suo pontificato dia l'Europa per persa. O forse è solo il contentino offerto a un continente che non conta più niente.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica