Il programma di acquisto di titoli pubblici dei Paesi membri dell'euro, quantitative easing , che la Bce vara questo lunedì, per 60 miliardi mensili sino al settembre 2016, cioè ben 1.140 miliardi, è un'operazione nuova per la nostra valuta, con luci e ombre. Le luci più evidenti sono due: la discesa dell'euro con il dollaro, che facilita l'export e rende più competitive le imprese dell'euro, rispetto all'import e la discesa del rendimento dei titoli pubblici, che avvantaggia, in particolare, gli Stati più indebitati. Gran parte di questi effetti si sono già realizzati, con la previsione del Qe. Infatti, l'euro era già giovedì a quota 1,10 con il dollaro e lo spread tra i titoli italiani e tedeschi si era ridotto a circa 100 punti, con un rendimento attorno all'1,5% per i Bot decennali. Ieri l'euro è sceso a 1,09 con il dollaro e lo spread a 93 con i Bund. Ma gli effetti sull'economia di ciò sono più diluiti nel tempo e minori. Infatti, il rilancio dell'export e la riduzione dell'import sono sfasati perché dipendono dai nuovi ordinativi e dal mutamento dei programmi delle imprese. Gli effetti sulla domanda interna di tutto ciò sono ulteriormente sfasati, di qualche mese, in quanto dipendono dall'effetto del miglioramento degli scambi con l'estero, sull'occupazione e sul reddito delle famiglie e delle imprese. La Bce stima che la crescita del Pil dell'Eurozona sarà dell'1,5% nel 2015, dell'1,9% nel 2016 e al 2,1% nel 2017. Ma ci sono dubbi su tali stime. Mario Draghi ha detto che il Qe potrebbe essere prorogato dopo il settembre del 2017, se non ci saranno i risultati previsti. Per l'Italia le luci e le ombre si traducono in un paradosso.
A causa del nostro elevato debito pubblico e dell'alta pressione fiscale che ha ridotto il nostro Pil, ma anche il nostro deficit sotto il 3%, siamo il Paese che può piazzare più titoli del debito presso la Bce. Ma data la crisi e la difficoltà del governo a base Pd di fare le riforme di libero mercato, potremmo non utilizzare in modo adeguato il fiume di denaro così reso disponibile per la nostra economia, cioè ben 400 miliardi. E per ora, per la crescita prevista del nostro Pil nel 2015, è solo lo 0,6%. Secondo le nuove regole del Qe, la Banca centrale di ogni Stato membro compra, per conto della Bce, una quota di titoli pubblici dell'Eurozona in proporzione alle riserve valutarie che ha conferito alla Bce: per l'Italia è il 12,3% di 1.140 miliardi. Ciascuna Banca centrale nazionale partecipa al 20% agli acquisti che fa, ma può comprare titoli pubblici di tutti gli Stati membri compresi nella lista Bce, per farsi un portafoglio in cui combina rendimento e rischio. È fatto divieto di comprare titoli con rendimento inferiore al -0,2 che è il tasso negativo dei depositi presso la Bce e di comprare titoli che la stessa Eurotower giudica troppo rischiosi (lo può stabilire per quelli greci). L'insieme delle Banche centrali dell'Eurozona non può comprare più del 33% dei titoli a medio e lungo termine di uno Stato membro, elencati nella lista Bce che per l'Italia ne include per 1.200 miliardi.
Ergo, ne potremmo collocare nella Bce ben 400, pari al 25% del Pil, rimanendo un debito potenzialmente circolante del 107% del Pil. Pari a quello a cui era sceso il governo Berlusconi, prima della grande crisi. È una bonanza, parrebbe. Ma ci sono ombre. La Bce è un creditore con poteri più duri di Equitalia: lo si vede con la Grecia. Il vero quesito è: tutti questi miliardi andranno in crediti nuovi alla nostra economia? La risposta è al buio. Il nuovo contratto di lavoro senza articolo 18 facilita le assunzioni in nuove iniziative. Ma grandi investimenti, come la banda ultralarga, fanno fatica a decollare. La riforma fiscale con depenalizzazione di reati fiscali è rinviata, mentre c'è l'aggravio per il falso in bilancio. La tassazione immobiliare frena l'edilizia. Le opere pubbliche sono bloccate da complesse procedure.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.