Il Qatar l'ha deciso e Israele l'ha strombazzato. Ma la Cia s'è volentieri accomodata. Anche perché una Roma torrida e deserta è sempre meglio di un'affollata e inaffidabile Parigi olimpica. Ma per capire perché il premier del Qatar Mohammaed bin Abdel Rahman, il capo dell'intelligence egiziana Abbas Kamel, il direttore della Cia William Burns (nella foto) e il numero uno del Mossad David Barnea si siano dati appuntamento per quest'oggi a Roma bisogna partire da Doha. Sono stati infatti i vertici dell'Emirato a scegliere la Città Eterna. Preferendola, nonostante gli storici rapporti con l'Eliseo, alla Parigi di Macron. Certo, darsi appuntamento in una capitale francese già nel mirino a causa dei giochi olimpici equivaleva a crear un incubo sicurezza.
La scelta di Roma, però, non è arrivata soltanto per esclusione. Dietro ci sono i rapporti sempre più stretti intavolati con l'Emirato dall'Aise del generale Gianni Caravelli e, non ultimo, l'apprezzamento di Doha per le posizioni estremamente bilanciate assunte dal nostro esecutivo sul fronte di Gaza. Dunque la fuga dalla Senna al Tevere è anche un riconoscimento a un esecutivo Meloni che sul complesso fronte mediorientale ha saputo mantenere una posizione vicina a Israele, senza mai scordare il dramma della Striscia. Proprio per questo, Doha ha insistito sulla scelta romana definendola la più indicata per la ripresa dei negoziati sul cessate il fuoco a Gaza e sulla liberazione degli ostaggi. Ma il secondo grande interrogativo è perché la scelta della nostra capitale, decisa all'inizio della settimana scorsa e comunicata con l'ovvio riserbo ai nostri servizi segreti, sia stata divulgata 48 ore prima dal summit.
Per capirlo, bisogna rivolgersi a Israele, vero artefice delle indiscrezioni sull'appuntamento romano. Un'autentica soffiata regalata venerdì sera a Barak David, giornalista della testata Walla di Tel Aviv e corrispondente del sito americano Axios. Una soffiata con cui i vertici israeliani fanno intendere di essere ancora disponibili alla trattativa nonostante le rigide condizioni fatte inserire dal premier Benjamin Netanyahu nella nuova proposta sul cessate il fuoco e sullo scambio di ostaggi. La proposta comprende un meccanismo che esclude il ritorno nel Nord della Striscia dei palestinesi vicini ai movimenti armati. Un meccanismo destinato quasi sicuramente a incontrare il «no» di Hamas e a innescare l'ennesimo stallo negoziale. «Hamas insiste nell'adottare l'ultima proposta presentata ai mediatori» spiegava ieri Al-Mayadeen, un quotidiano libanese molto vicino ad Hezbollah. Secondo le fonti del gruppo fondamentalista palestinese, citate dal quotidiano, Hamas «rimane fermo nella sua posizione sul completo ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza, compresi i corridoi Netzarim e Filadelfia». Inoltre continua a rifiutare qualsiasi accordo sul rilascio degli ostaggi che non preveda il raggiungimento di un cessate il fuoco permanente.
Tutto questo mentre l'organizzazione fondamentalista, di cui Israele pretende la totale eliminazione, non esclude di riprendersi l'amministrazione temporanea della Striscia in mancanza di un accordo con
l'Autorità Palestinese sul governo da insediare a Gaza e della Cisgiordania. Ragioni sufficienti per capire che Roma ben difficilmente diventerà la culla di un'intesa negoziale per il momento tanto lontana quanto insperata.
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