La "cipria" di Crema al servizio di sua Maestà

Sahariana, snobismo e sicumera. Svela vizi e virtù degli italiani col vizio del narcisismo e la virtù dell'"impalpabilità"

La "cipria" di Crema al servizio di sua Maestà

C'è chi viene da Cremona, «Very big cream», e chi semplicemente da Crema. Anzi, dalla piccola frazione dei Mosi: quindi «Very little cream». Dunque, un cremino. Da cui l'espressione «essere la crème de la crème» del giornalismo.

Cremino, figlio del notaio della città dal quale eredita scrittura curiale, passione per bicicletta e rimpianto per il buon contado antico la campagna del mais e delle nutrie, l'Italia che suda e lavora e sposato con Ortensia Marazzi, discendente di Fortunato Marazzi, la quale gli porta in dote le nobili virtù della provincia una certa posa snob e irridente, aria da uomo di mondo e breakfast al Reform club, Lamb Cutlets e turtèi - Beppe Severgnini è la miglior espressione italiana del giornalismo inglese e il miglior giornalista italiano per il mondo anglosassone. Insomma, un Antonio Caprarica che ce l'ha fatta.

Regola delle 5 W. Who is Beppe Severgnini? A sac of things, un sacco di cose. What? Giornalista, saggista, opinionista: «Ciao Lilli!», «Ciao Beppe!», «Lilluzzaaaa!», «Peppuzzoooo!». Where? Ovunque: Corriere della sera, Gazzetta, Economist, facendosi in Sette per La7 che fa quarantanove, come i racconti di Hemingway, un suo collega, ma meno famoso... When? Mah, a leggere le stesse cose, sembra da sempre. Why? Non si sa.

The pen is on the table. The pen is over the table. The pen is a stick in the...

La penna, Beppe Severgnini comincia a usarla presto. Dopo la laurea in Giurisprudenza e i primi articoletti per il quotidiano La Provincia di Cremona, sognando il Big Ben all'ombra del Torrazzo, nel 1981 inizia a lavorare per Il Giornale, chiamato da Indro Montanelli su raccomandazione della compagna d'allora, Marisa Rivolta, alla quale a loro volta si erano raccomandati papà e mamma Severgnini. Italians! Teniamo tutti famiglia

Il tempo di entrare in redazione in via Negri senza attirarsi la simpatia di nessuno - e viene nominato corrispondente dall'Inghilterra. Come sentenziò Enzo Bettiza, il Barone: «Da Crema a Londra senza nemmeno passare da Milano». E così, Beppe diventa Joe in meno di trenta righe. Lui è già pronto: sahariana sciancrata, impermeabile da maniaco a Regent's Park e in curriculum il concerto di David Bowie all'Hammersmith Odeon.

Montanelli era il Vecchio, Beppe diventa il figlioccio.

Dopo Londra, il mondo: negli anni della crisi del regime comunista the Severgnin è inviato nell'Europa dell'Est, in Asia, Russia, Cina... A proposito. Aneddotica del giornalismo. Quando il 9 novembre 1989 cade il muro di Berlino, travolgendo l'idea stessa di Comunismo, contro cui Montanelli aveva lottato tutta la vita, il giorno dopo sulla prima pagina del Giornale la notizia titolo: «Crolla il Muro di Berlino: chi vuole ora può espatriare» - è relegata in uno spallone. L'apertura invece è sul leader cinese Deng Xiaoping con un fondo firmato da Beppe Severgnini. «Il suo pezzo non si tocca!», disse Montanelli. Misteri del giornalismo. E anche di Beppe Severgnini.

Il resto è storia. Berlusconi entra in politica, Montanelli esce dal Giornale, fonda la Voce, che dura un anno, poi torna al Corriere della sera. Tra coloro che porta con sé, c'è anche il fortunato Beppe. Del quale si ricorda la battuta «We are in a ferry boat», «Siamo in una botte di ferro». È già il 1995. Ma per le biografie di Severgnini la sua carriera inizia qui, con l'arrivo in via Solferino. I dodici anni a busta paga di Berlusconi sono rimossi dalla memoria per consolidare il proprio credito progressista. Che da noi, come è noto, conta più della buona penna.

The pen is under the table. The pen is near the table. The pen has broken the penis.

Italiani non si diventa ma si nasce. E giornalisti non si nasce ma si diventa. Severgnini diventa bravissimo. Il più bravo. Il più bravo dei più bravi. È «the Brave». Giannini, Gramellini, Rampini, Fubini, Severgnini Diciamo che la desinenza -ini non garantisce che tu sia un ç@§l!òn* ma costituisce un primo indizio.

Comunque Beppe è inarrestabile. Apre il blog Italians, firma rubriche, collabora con La Gazzetta, commenta per The Sunday Times, è opinion writer per il New York Times, conduce programmi radio, è ospite fisso in tv «Ciao Lilli!!», «Ciao Beppe!!», «Ma sei sempre qui?», «Anche tu» - e tanti libri. Decine di libri. A lot of libri. Su cosa? Le solite cose: l'Erasmus, la campagna attorno a Crema, la gita scolastica a Siena, la vespa, i viaggi studio in Inghilterra, i corsi di inglese, i Talking Heads, Everything you know is wrong e soprattutto riflessioni sugli italiani: gli italiani in viaggio, gli italiani all'estero, gli italiani visti dall'estero o l'estero visto dagli italiani... e l'unicità degli italiani, secondo la tesi di fondo diciamo così, un po' reiterata - che siamo un popolo da operetta, cialtroni, geniali, mezzi disonesti, che abbiamo eletto persino Berlusconi, ma alla fine dài - abbastanza simpatici. Quite nice. Che significa, «Tranquillo, bello».

Montanelli, con affetto e perfidia, lo chiamava «cipria». I suoi pezzi, diceva, erano perfetti per coprire in modo elegante la realtà. Una passata di piumino e via.

Via Solferino 28, Severgnini benpensante, beneducato, benaltrista, zazzera bianca e cuore rosso dirige il settimanale Sette tra il 2017 e il 2019. Con un considerevole successo si chiama antifrasi... di vendite, raccolta pubblicitaria e prestigio. Punti di domanda, recensioni affidate a casaccio, elenchi insopportabili e un grande flop. Che in inglese si dice... «flop». È agli annali del Corriere la risposta che il neo direttore dava alle Severgnini's girls Stefania Chiale, Chiara Severgnini, Micol Sarfatti e Irene Soave ogni volta che gli chiedevano «Beppe, come lo vuoi il pezzo?»: «Come se lo scrivessi io». Vero Chiara? Vero Irene?

Beppe's Version. Calcisticamente è interista, come tutti i sessantottini milanesi di lotta, di potere e di rigore: Mentana, Michele Serra, Lerner, Paolo Rossi, Gino&Michele, Salvatores Giornalisticamente, auto-agiografico e autobiografico: se scrive di una partita di calcio, prima ti dice da dove la sta vedendo lui; se parla dei giovani e il voto, cita le sue vacanze da ventenne con l'Interrail; se fa un ritratto di Scarlett Johansson, ricorda la volta che dopo l'intervista lei gli chiese: «Stasera a cena ti siedi vicino a me?» (sic). E politicamente monarchico: a parte l'aneddoto della regina Elisabetta che prima di spirare sembra abbia detto: «Salutatemi il mio amico Beppe», colpisce di lui l'immaginario-medio che ha del Regno Unito, tutto Mary Poppins, Paddington, tè delle cinque, l'impero tipo un club di amici... E comunque il suo pezzo sugli splendori della famiglia reale e le glorie del colonialismo era l'equivalente de «il fascismo ha fatto cose buone» declinato all'imperialismo inglese Una vota a servizio di Sua Maestà c'era James Bond, oggi abbiamo Severgnini. Ma lui è fatto così. He is like that.

E forse è per questo che gli perdoniamo le previsioni sulla Brexit «Lilli, io gli inglesi li conosco: non voteranno mai l'uscita dalla Ue!» e quella sulle elezioni presidenziali americane - «Lilli, io gli americani li conosco: non voteranno mai Donald Trump!». Perché se c'è una cosa che non gli appartiene, è il conformismo intellettuale.

E - luogo comune per luogo comune - That's All.

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