Regina De Albertis, presidente di Assimpredil Ance, l'associazione delle imprese edili della provincia di Milano, Lodi, Monza e Brianza. Davvero il settore si è fermato?
«Tutte le pratiche edilizie sono ferme perché i tecnici comunali non vogliono prendersi la responsabilità di firmare gli atti perché rischiano, pur avendo seguito la legge, di trovarsi sotto processo, con spese legali da anticipare e con stipendi inadeguati. Un atteggiamento comprensibile, per cui ribadisco la nostra solidarietà ai tecnici».
Milano sta subendo un enorme danno per queste inchieste. C'è un danno di immagine anche per i costruttori?
«I costruttori non hanno mai goduto di buona immagine e in questa vicenda sicuramente ne hanno risentito tantissimo. Costruzione è sempre considerato in opposizione a sostenibilità mentre vorremmo far capire come il settore non solo ha un peso economico, dal momento che vale più del 20% del Pil nazionale, ma anche un fortissimo valore in quello che è il passaggio verso un modello di sviluppo più sostenibile. Se consideriamo che il PNRR ha come obiettivo un'attenzione verso un mondo più sostenibile, più della metà delle risorse del Piano toccano il settore delle costruzioni. A Milano si vede come tanti ambiti dismessi, degradati e abbandonati sono stati riqualificati restituendo qualcosa di meglio alla cittadinanza. Nonostante ciò in questa vicenda è più facile dare la colpa al costruttore, ma noi siamo disponibili, come categoria, a mettere alla luce del sole i nostri business plan per far vedere di cosa parliamo».
Una sorta di operazione trasparenza...
«Sono disposta a creare momenti di dialogo con la città perché ci tengo a far capire cosa significano certi termini, cosa c'è dietro bonifiche, autorizzazioni e controlli. C'è bisogno anche di maggior dialogo sui servizi: incontriamo i cittadini e cerchiamo di capire dove credono che i loro interessi o bisogni siano stati calpestati. Prima delle inchieste discutevamo con il Comune sull'emergenza abitativa, causata da una situazione congiunturale che ha portato nell'ultimo anno e mezzo a un incremento dei costi di costruzione di oltre il 30%: in media il costo di costruzione è di 2.500 euro al metro quadro di superficie commerciale, cui bisogna aggiungere il prezzo dell'area, gli oneri di urbanizzazione, le monetizzazioni. Come si pensa di dare una risposta abitativa a prezzi sostenibili? Ovviamente il costruttore deve creare valore per sé e per la propria azienda ma vuole lasciare un valore alla città e dare risposta ai cittadini. Il paradosso è che in questa vicenda tutti gli attori hanno lo stesso obiettivo: rendere lo sviluppo di Milano inclusivo e sostenibile affinchè la locomotiva d'Italia continui a marciare, mentre adesso siamo tutti a battagliare perché si pensa che ognuno abbia avuto un proprio interesse da portare avanti».
Invece?
«C'è un problema di terminologia o di cattiva comprensione dei fatti. In uno degli interventi sotto inchiesta si è realizzato un edificio alto, autorizzato con una Scia. molti epnsano che Scia voglia dire che dopo 30 giorni si inizia a costruire e invece questa Scia ha richiesto 2 anni di passaggi e autorizzazioni, pagando alla città più di 9 milioni di oneri di urbanizzazione. Ribadisco il mio rispetto per la magistratura ma voglio anche precisare che nessuno ha voluto fare nessun dolo ai cittadini e a Milano, tutto è stato fatto con una logica positiva, di crescita sana».
Qual è il rischio?
«Siamo oltre il rischio. La città è bloccata totalmente, il problema è la mancanza di una risposta alla domanda abitativa con danno per la società civile, poi c'è un danno occupazionale e sociale. Nei nostri cantieri nel 2023 hanno girato 80mila operai, se ci fermiamo questi operai non riusciremo più a pagarli. Ma ne pagano le conseguenze anche gli imprenditori perché i grandi fondi non investiranno più qui».
Per quanto riguarda l'emendamento Salva Milano c'è il rischio che si arrivi a usare permessi a costruire anche per piccoli interventi?
«Io parlerei di un Salva futuro. E poi non si deve parlare di condono per gli interventi già realizzati perché non c'è niente da sanare, ma sembra che sul futuro per un edificio sopra i 25 metri sarà necessario un piano attuativo, un permesso che ha una gettata temporale di 3-5 anni. E poi si demanda alla costituzione di un tavolo tecnico che in 6-12 mesi prenderà alcune decisioni, ma io sono sempre preoccupata delle tempistiche».
Nessuno investimento atterrerà mai più su Milano?
«Milano è capofila perché era una città credibile. Uno dei maggior scogli agli investimenti è non avere una giustizia certa, ma se questo principio viene meno i capitali internazionali vanno a investire altrove».
Che cosa si può
auspicare?«Un chiarimento normativo il prima possibile, un emendamento che definisca linee precise e chiare su come si può operare senza rimandare a ulteriori tavoli. Oggi fare l'imprenditore nel nostro Paese è quasi da eroi».
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