Danneggiata da un incendio, colpita da un missile o, addirittura, affondata davanti alle coste di Odessa. È il mistero della Moskva, l'incrociatore russo, ammiraglia della flotta del Mar Nero, andata in fiamme nella notte di mercoledì. Da quel momento l'arcano della Moskva non ha fatto che infittirsi.
Mentre Kiev ripeteva di averla centrata con due missili Neptune - che avrebbero fatto esplodere il comparto munizioni causando il ribaltamento e l' affondamento della nave - il ministero della Difesa russo negava tutto. Smentita confermata nella serata di ieri dal Pentagono che - pur non spiegando l'accaduto - parlava di incrociatore «ancora a galla». Nella versione russa l'incendio, divampato a causa di un malfunzionamento sarebbe stato messo sotto controllo grazie all'intervento di alcune navi-soccorso che nella serata di ieri stavano trainando l'incrociatore verso il porto di Sebastopoli. Comunque sia il mistero non si risolverà tanto presto. I rari precedenti degli ultimi decenni insegnano che in una guerra la perdita o il danneggiamento di una nave rappresentano un colpo all'orgoglio nazionale difficile da ammettere. E anche in questo caso, gli esperti Usa sottolineano come la perita della Moskva rappresenti un serio danno per il Cremlino. La democrazia inglese ha atteso 35 anni prima di rendere pubblico il rapporto sugli errori che, nel 1982 durante la guerra delle Falkland , causarono la morte di venti marinai a bordo del cacciatorpediniere Sheffield colpito e affondato dai missili Exocet degli argentini. E gli israeliani non hanno mai digerito il trauma del 14 luglio 2006 quando un missile cinese C 802 lanciato da Hezbollah centrò la corvetta Ins Hanit al largo di Beirut uccidendo quattro membri dell'equipaggio. Nel caso del Moskva, un incrociatore varato dai sovietici con il nome di Slava nel 1983, ma ribattezzato, ammodernato e rimesso in mare nel 2000, silenzi e versioni contrastanti coprono implicazioni strategiche di non poco conto.
Un incendio causato da un malfunzionamento riproporrebbe la delicata questione dell'obsolescenza dei mezzi russi. Un'incognita non da poco per una nave considerata l'ammiraglia della flotta del Mar Nero. Ma l'eventualità di un riuscito attacco missilistico avrebbe ripercussioni ancor più serie. La prima riguarda i missili utilizzati, secondo Kiev, per colpire la nave russa. All'interno della Nato fin qui nessuno scommetteva sull'efficienza del Neptune, un missile «cruise» entrato in esercizio solo un anno fa e sviluppato dai tecnici ucraini partendo dagli equivalenti K 35 russi. Nonostante l'ampliamento della portata e lo sviluppo dell'elettronica quella testata, in larga parte conosciuta, doveva essere facilmente intercettabile dalla Moskva. Per questo molti esperti militari occidentali si chiedono se dietro la sigla dei Neptune non si nascondano missili antinave ben più potenti provenienti dagli arsenali Nato. Solo una settimana fa Londra, preoccupata per eventuali attacchi via mare al porto di Odessa, aveva proposto di fornire agli ucraini i missili antinave Harpoon. Se quei missili fossero già arrivati i russi sarebbero i primi a scoprirlo e a considerare l'eventualità di una rappresaglia. Se da una parte un coinvolgimento della Nato comporta il rischio di una pericolosa escalation dall'altra un riuscito attacco ucraino potrebbe rallentare, o ridimensionare, l'offensiva sul fronte sud-orientale con cui Mosca punta a chiudere l'Operazione Speciale.
Inizialmente Odessa era considerata una conquista indispensabile per negare all'Ucraina l'accesso al mare e comprometterne la dimensione economico-commerciale.
Ultimamente, però, la lenta avanzata russa sul fronte di Kherson e di Mikolayv l'hanno trasformata in un obbiettivo sempre più incerto. La presenza di missili capaci di neutralizzare, o rendere militarmente assai costoso un attacco via mare, potrebbe moltiplicare queste incertezze lasciando all'Ucraina il controllo dell'importante porto sul Mar Nero.
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