«Siamo in guerra servono norme di guerra». Così parlò Fabrizio Curcio, capo della Protezione civile. Ma è più facile a dirsi che a farsi. Perché fare «come in guerra» significherebbe trasferire il comando delle operazioni - da quelle vaccinali a quelle mediche e di cura - ad un solo comandante in capo. E, soprattutto, fare i conti con la «riforma del titolo quinto» le norme che hanno introdotto un dose di federalismo nell'ordinamento italiano. Una riforma che non prevede, neppure in caso di emergenza, il ritorno delle leve del comando nelle mani dello Stato. «Lo scandalo - spiega l'ex capo di Stato Maggiore Enzo Camporini - è la frammentazione delle norme, la scarsa chiarezza su chi deve prendere le decisioni. In un'emergenza come questa la fase decisionale va centralizzata». Il generale Marco Bertolini, ex comandante delle Forze Speciali e del Coi (Comando Operativo Interforze) guarda invece al modello Boris Johnson. «Il premier inglese - spiega il generale - ha puntato su quella che gli anglosassoni chiamano operazione effect based, un'operazione dove l'effetto da ottenere è prioritario rispetto a regole e procedure consolidate». Il problema di fondo ricorda però Bertolini è aver leggi adatte e di poterle modificare al bisogno. «Il generale Paolo Figliuolo è un bravissimo generale - sottolinea - ma senza un codice normativo paragonabile a quello di guerra il decisionismo serve a poco».
Parole quanto mai vere se si esaminano temi concreti come quel blocco delle esportazioni introdotto per impedire alle case produttrici di vendere altrove le dosi di vaccini e prodotte in Europa. Istituito a fine gennaio dalla Commissione Europea e rinforzato dal Consiglio d'Europa la scorsa settimana il blocco resta inapplicabile per le divisioni dei partner europei. Lo stesso dicasi per la ventilata vaccinazione obbligatoria del personale medico. «Agire come in guerra» significherebbe consentire al premier, o ad un ristretto numero di ministri - il cosiddetto gabinetto di guerra - la possibilità di varare in poche ore norme in grado sospendere dal lavoro chi rifiuta i vaccini. Ma è un'ipotesi non prevista dalla nostra Costituzione.
Più fattibile è offrire uno scudo legale a chi partecipi alle operazioni di inoculazione delle dosi. Ma in mancanza di norme capaci di limitare l'azione della magistratura anche lo scudo legale rischia di non rivelarsi sufficiente».
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