Onorevoli, cittadini, compagni: ma in Aula sono banditi i "ragazzi"

Ragazzi, che polemica alla Camera

Onorevoli, cittadini, compagni: ma in Aula sono banditi i "ragazzi"
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Ragazzi, che polemica alla Camera. Ogni tanto, tra camicie aperte sul petto e zucchine esibite per rimarcare la vicinanza con la ggente che va al mercato, a Montecitorio si discute di etichetta parlamentare. Si può descrivere falsamente un'Italia messa al bando dalle cancellerie internazionali, ma non pronunciare frasi eversive come «ragazzi, vi vedo particolarmente nervosi...». Copyright Giorgia Meloni, contestata dalle opposizioni durante le comunicazioni in vista del Consiglio europeo per il suo fare colloquiale, condito con l'intercalare ragà. Per il presidente dell'assemblea Lorenzo Fontana si può glissare, più severo il suo vice Giorgio Mulè per il quale «non si può dire ragazzi in aula, c'è tutta una forma da tenere, anche se è un termine che è scappato anche a me».

Di certo la premier, schietta e diretta, non ha costruito la propria carriera sul formalismo. Però ha voluto scusarsi, senza rinunciare a una precisazione lessicale: «Non posso chiamarvi ragazzi? Vabbè giovani onorevoli. Nemmeno questo? Evidente che non vi sono particolarmente simpatica... Noi romani ogni tanto diciamo, ragazzi. Vi chiedo scusa comunque. I romani sono meglio di questo? Vabbè, mi scuso anche con i romani».

Niente di nuovo, comunque. Sono trent'anni che alla Camera si discetta sui termini alternativi al classico «onorevole». Già nel 1994 la presidente Irene Pivetti lo sostituì ostentatamente con il più neutro «deputato», per smarcarsi dalla Roma ladrona che la Lega della prima ora si era illusa di convertire ai costumi nordici, se non celtici. Ci hanno poi riprovato le avanguardie grilline catapultate a Palazzo nel 2013 che, in una messinscena di sobrietà, scelsero di definirsi «cittadini», autoproclamandosi geneticamente superiori ai restanti colleghi, eletti dal popolo (o dalle liste bloccate) né più né meno come loro stessi.

«Ragazzi» non suonerà aulico, non rappresenta una moda da seguire, ma va al passo con una società destrutturata dove molti giovani non sanno neanche più usare il «lei» con adulti al di fuori della combriccola dello spritz.

Se la premier Meloni avesse utilizzato la parola «amici», la avrebbero accusata di guardare al centro saccheggiando il linguaggio della vecchia Dc.

E se le fosse scappato un bel «compagni», staremmo ancora a ricamare su un lapsus che avrebbe fatto venire giù dalle risate la volta di Montecitorio. Neanche a immaginare un «camerati», roba da Aventino immediato e invito ad imbracciare le armi in montagna. Ragà, ma fosse che quando parla Giorgia non gliene passano una?

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