Gli interessati sono tutt'altro che contenti: l'ultimo sondaggio (Yougov) di un paio di giorni fa dice che il 55% degli inglesi pensa che la Brexit sia stata un errore, solo il 30% ritiene che sia stata giusta e il resto preferisce non esprimersi. Il tasso di insoddisfazione è sempre cresciuto dal giorno dell'addio inglese all'Europa, il primo febbraio del 2020, con punte estreme tra i più giovani: il 75% di chi ha tra i 18 e i 24 anni parla di uno sbaglio, e solo il 10% si dichiara ancora favorevole.
Se dai sondaggi si passa alle analisi il discorso di fa però più complicato: il sistema produttivo britannico non ha certo brillato negli ultimi anni ma l'economia non consente, a differenza delle altre scienze, esperimenti in laboratorio ed è impossibile stabilire come sarebbero andate le cose se Londra non se ne fosse andata. Per di più l'aspetto economico è solo uno dei tanti piani su cui la Brexit può essere valutata. La Bbc per esempio, in occasione dei cinque anni esatti dall'addio, ha tentato un bilancio tenendo conto di cinque elementi: commercio ed economia, immigrazione, viaggi, legislazione, finanza pubblica.
1) Commercio. L'Office for Budget Responsibility (OBR), l'ente pubblico incaricato delle previsioni economiche, mantiene le stime fatte già ai tempi del referendum. Sul lungo termine la caduta dell'interscambio britannico sarà intorno al 15% con una riduzione del prodotto interno potenziale del 4%, pari a 100 miliardi di sterline. I dati fin qui emersi sono però più in chiaroscuro: l'export industriale è diminuito tra il 30 e il 6% rispetto all'eventualità di una non-Brexit (la forbice così ampia dipende dai dati scelti per l'ipotesi alternativa). In compenso ha mostrato una grande vitalità l'export inglese nel settore dei servizi (dalla pubblicità alla consulenza). Gli accordi conclusi con Paesi terzi hanno fatto poco o nulla per compensare l'uscita dall'Europa mentre potrebbe essere un vantaggio non dover obbedire a Bruxelles in settori emergenti come l'intelligenza artificiale.
2) Immigrazione. Uno dei temi centrali ai tempi del referendum ha fatto segnare una sorpresa non da poco: per effetto della fine della libertà di movimento è diminuita in maniera rilevante quella in arrivo dall'Europa continentale, ma è aumentata molto di più quella in arrivo dai Paesi più lontani. In pratica le università (che hanno visto il rischio di diminuire i loro introiti) e le aziende a caccia di manodopera hanno fatto campagna di reclutamento negli altri continenti. Gli arrivi netti non Eu sono aumentati di 750mila unità tra il 2021 e il 2024. Diminuiti di 150mila unità gli arrivi europei.
3) Viaggi. Qui i grandi cambiamenti devono ancora arrivare. Nel 2025 la Ue introdurrà un sistema di ingresso elettronico (EES) peri viaggiatori non Eu con l'utilizzo di dati biometrici. Successivamente sarà introdotto una specie di visto (ETIAS) dal costo di 7 euro. Questo aumenterà i costi e potenzialmente le file, per i britannici in viaggio in Europa. La Gran Bretagna sta facendo lo stesso: dal 2 aprile gli europei dovranno ottenere un permesso, ETA, dal costo di 16 sterline.
4) Le leggi. Per minimizzare lo choc della Brexit il governo conservatore al potere nel 2020 adottò gran parte della legislazione europea come legislazione inglese. Secondo alcuni calcoli si trattava di oltre 6mila norme. Solo 600 sono state da allora abolite. Il resto è ancora valido, nonostante la scadenza fissata al 2023 per la loro eliminazione. Pesa la difficoltà tecnica di esaminare ed eventualmente liberalizzare o diversamente regolare i settori più disparati.
5) Finanza Pubblica. Fino al 2021 la Gran Bretagna versava alla Ue circa 18 miliardi di sterline l'anno equivalenti a 350 milioni la settimana (somma oggetto di una trovata molto efficace da parte del leavers durante la campagna elettorale). Quattro venivano restituiti a Londra per un meccanismo comunitario noto come «rebate», altri 5 tornavano indietro sotto forma di aiuti alle zone depresse o all'agricoltura. Il risparmio è stato dunque di nove miliardi. Ma anche su questo dato si discute.
Fino al 2023 la Gran Bretagna ha dovuto versare circa 5 milioni l'anno a Bruxelles per completare i programmi già avviati. Altri 6,4 dovranno essere versati dal 2024 in avanti sia pure su base pluriennale. Dal 2023 Londra ha poi aderito al programma di ricerca europea Horizons che le costa 2 miliardi l'anno.
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