La condanna a morte dei trombati

Il popolo mai in pace con se stesso ha sempre bisogno del nemico di giornata

La condanna a morte dei trombati

Il popolo mai in pace con se stesso ha sempre bisogno del nemico di giornata. Si nutre di una bella dose di rabbia esplosiva e livore incontenibile su ogni tipo di argomento per sovrastare, con la propria voce, tutto ciò che stona con i rispettivi canoni. Uno scoppio di aggressività che riduce il normale diritto di critica dei cittadini che osano ragionare a un pigolìo da anima debole, un balbettare da vigliacchi quando si possono usare le maniere forti.

I social, specchio deformato di un Paese migliore di quanto si autorappresenta, si sono sbizzarriti con grande creatività nel sottolineare il cambio della guardia alla guida del Paese. Il nostro titolo di ieri «Belli ciao» o altre suggestioni di stampa sui «rosiconi» hanno salutato con umorismo l'uscita di scena di tanti personaggi controversi, spocchiosi e antipatici. Ma nei commenti da bar che frullano sul web, il risentimento viaggia ai 300 all'ora, accomunando le sensazioni più impensabili. Si è saldata una strana alleanza populista e anticasta che non guarda più a logiche politiche e di potere ma che trae linfa da un sentimento umanissimo quanto meschino: l'esultanza sfrenata per le disgrazie altrui. Non ci sarebbe da stupirsi se si trattasse solo di una banale schadenfreude, l'intraducibile locuzione tedesca che fotografa il personale godimento intimo dinanzi a sciagure e sconfitte che non riguardano mai se stessi.

Il livello di odio, che pare alzarsi ogni giorno senza barriere contenitive, dalla sera elettorale di domenica si è riversato sulla nuova categoria di monatti: i trombati alle elezioni. Non bastano più gli sfottò a Di Maio che deve tornare a fare il venditore ambulante di bibite o alla Cirinnà che si incartò con la storia sconclusionata dei 24mila euro trovati nella cuccia del suo cane. In poche ore i «ciaone» agli uscenti, tributati beffardamente dai vincitori, si sono trasformati in un fenomeno sociale violento e disgustoso. La perdita del seggio è stata salutata con un torrente di insulti e offese, manco fosse caduto un dittatore assirobabilonese. Il pensiero che costoro potessero percepire «15mila euro netti al mese», stima universale dei vari followers, ha giustificato un linciaggio senza precedenti per gli sconfitti di una tornata elettorale. Tutti trattati alla stregua di ladri fermati dalla polizia dopo anni di scorribande impunite. E invitatoi a curarsi gravi malattie senza la sicurezza economica dell'indennità parlamentare o andare a umiliarsi con lavori indecorosi per non morire di fame già l'indomani.

Il vento collettivo dell'anticasta ha sempre prodotto disastri, a cominciare dalla riduzione dei parlamentari che ha alterato la rappresentanza popolare con collegi giganteschi, senza pensare ai problemi di funzionalità delle Camere con competenze inalterate ma con 345 legislatori in meno.

All'epoca grillina certa opinione pubblica esultava nel vedere eletti personaggi indegni di una carica pubblica. Oggi la felicità è augurare agli esclusi anni di patimenti a compensazione dei benefici ingiustamente goduti. Meglio con minacce e improperi per risultare più convincenti. Ma perché ridursi così?

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