New York. È sempre più emergenza immigrazione in America, mentre la Casa Bianca lancia un duro monito ai migranti nel nord del Messico. «I nostri confini non sono aperti», ha detto il ministro per la sicurezza interna Alejandro Mayorkas poco prima della scadenza - alla mezzanotte di ieri - del «Titolo 42», la misura introdotta da Donald Trump che consentiva di espellere immediatamente i richiedenti asilo per l'emergenza covid. Mayorkas ha messo in guardia che ci saranno conseguenze più dure per chi entra illegalmente, dal procedimento penale all'espulsione con il divieto di rientrare negli Usa per almeno 5 anni. Ma ha anche ammesso che «sarà una transizione difficile».
Le sue parole comunque non sembrano aver scoraggiato le decine di migliaia di persone che sotto un sole battente sono arrivati e stanno arrivando al confine col Messico per entrare negli Stati Uniti guadando fiumi, passando attraverso il filo spinato e scalando muri. Per ora non sono state registrate violenze, ma le città americane di frontiera sono preoccupate per il peggioramento di una crisi umanitaria già complessa. «Ci stiamo preparando come se stesse arrivando un uragano», ha detto alla Cnn il sindaco di Laredo Victor Trevino. Le contee di Cameron e Hidalgo, nel sud del Texas, hanno dichiarato lo stato di emergenza, che permette di liberare risorse statali e federali. Il comune di El Paso ha segnalato 6.124 persone nei centri di detenzione, anche se si stima che in città siano stati oltre duemila i migranti che hanno dormito per strada. Anche Yuma, in Arizona, ha visto gli arrivi giornalieri salire nell'ultimo mese da 300 a oltre 1.000, come ha spiegato il sindaco Douglas Nicholls, il quale vuole una dichiarazione di emergenza federale per fornire «non solo denaro ma risorse sul campo».
Negli ultimi giorni la polizia di frontiera ha trattenuto sino a 28mila clandestini nelle sue strutture, oltre le sue dichiarate capacità, e questa settimana il numero di persone che hanno attraversato illegalmente la frontiera ha già superato i 10mila al giorno. E la crisi sta diventando un boomerang per i democratici, con le città santuario come New York ormai al collasso dopo che i governatori repubblicani degli stati del sud per mesi vi hanno inviato decine di autobus pieni di illegali. Contro l'amministrazione di Joe Biden sono già partite le prime battaglie legali per le nuove politiche migratorie dopo la scadenza oggi del «Titolo 42». Da un lato c'è la Florida, dove un giudice federale ha bloccato temporaneamente la prassi di rilasciare negli Usa i migranti quando le autorità non possono ospitarli mentre attendono che la loro domanda di asilo sia esaminata. Dall'altro una serie di associazioni a tutela dei diritti dei migranti, che hanno fatto causa a Washington per la nuova stretta sul diritto di asilo, che a loro avviso «imita largamente» le politiche dell'era Trump. Intanto, la Camera Usa a guida repubblicana ha approvato un disegno di legge per rafforzare le misure di sicurezza anti-migranti, che prevede anche la ripresa della costruzione del muro al confine con il Messico. Una misura che tuttavia sarà quasi certamente bocciata al Senato, dove i democratici hanno la maggioranza.
E anche il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador ha inviato i soldati della Guardia Nazionale a rafforzare il presidio della frontiera con gli Stati Uniti. Una decisione, ha spiegato, che non fa parte degli accordi raggiunti con Biden nel colloquio telefonico avuto questa settimana e non è stata presa per le pressioni del paese vicino, ma per evitare caos e violenze.
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