"Il conflitto nucleare rischio reale per l'Europa. L'Ue senza idee e leader ma Meloni è da seguire"

Intervista all'ex premier spagnolo José Maria Aznar: "Israele deve vincere, è in gioco l'Occidente. Immigrazione, studiamo l'Italia"

"Il conflitto nucleare rischio reale per l'Europa. L'Ue senza idee e leader ma Meloni è da seguire"

Europa in pericolo, il vuoto di leadership, l'arrivo di Trump, Bruxelles e Meloni. José Maria Aznar ha da poco concluso un incontro con trecento liceali italiani, organizzato a Firenze da «Progetto Città». L'ex premier spagnolo, due volte alla Moncloa, una lunga militanza nei popolari europei, guarda a Mosca, pesa le parole e non nasconde la preoccupazione.

Presidente, Mosca minaccia le capitali europee con l'atomica e missili ipersonici. Siamo alla vigilia di un conflitto nucleare continentale?

«Siamo in un momento molto pericoloso e una guerra che riguardi tutta l'Europa è una possibilità reale. Tutto dipenderà dalla nostra volontà e dalla forza delle nostre idee. E la nostra volontà dev'essere che non è accettabile l'invasione di una nazione sovrana».

Nel suo libro di memorie, l'ex cancelliera Angela Merkel ha raccontato di aver capito subito che Putin avrebbe voluto sovvertire l'ordine europeo, ma preferì il dialogo alla deterrenza e ostacolò l'ingresso di Kiev nella Nato. Fu un errore?

«Putin vuole recuperare il ruolo che fu dell'impero russo, e non può accettare che l'Ucraina sia parte dell'Europa o anche solo un paese sovrano. Per Putin, Kiev è una parte della Russia e ha deciso di invadere l'Ucraina dopo aver cercato di controllarla per anni attraverso elezioni truccate e governi manipolati. Ma più delle scelte della Merkel, credo che a spingere Putin all'invasione sia stato il ritiro americano dall'Afghanistan. Quando Putin ha visto cosa stava accadendo a Kabul, ha capito che la volontà di americani e occidentali era debole. Ecco perché dico che la nostra volontà è fondamentale».

Quanto accade a Kiev va al di là dell'Ucraina?

«Se lasciamo che Mosca rimanga nei territori che ha conquistato o accettiamo che l'Ucraina non faccia parte dell'Ue o in futuro della Nato stiamo mandando un segnale alla Cina, alla Nord Corea, all'Iran e a tutti i regimi autoritari del mondo».

Lei ha incontrato Putin. Chi è lo Zar?

«L'uomo e il politico in lui coincidono. Putin ha una forte idea di cosa sia la politica, ha una forte idea di cosa sia il potere e ha un'idea molto chiara di come esercitarlo. Sono le tre chiavi della sua personalità».

Il Medioriente è in fiamme. Netanyahu è accusato di crimini di guerra, il mandato di cattura emesso dalla Corte penale internazionale ha diviso l'Occidente. C'è un problema di antisemitismo - come sostiene il premier israeliano - o Israele ha ecceduto nella risposta militare al 7 ottobre?

«Le accuse a Netanyahu sono un grave errore. Israele reagisce a un attacco. Tutte le guerre sono orribili e fanno vittime, ma Israele deve vincere questa guerra. Perché l'interesse dei paesi occidentali, di tutti i popoli occidentali, l'esistenza stessa del mondo occidentale dipendono dal fatto che Israele vinca questa guerra».

A gennaio Trump si insedierà alla Casa Bianca. Guerre, Nato, dazi: cosa dobbiamo aspettarci?

«L'Europa può decidere di svegliarsi perché Trump sta arrivando, ma non è questo il punto. Trump può mettere dazi ai prodotti europei e può chiedere che l'Ue investa in difesa il 2% o 2,5%, ma l'Europa deve definire la propria posizione a prescindere da Trump. La vera domanda è: cosa vogliamo fare? Abbiamo bisogno di strategie che evitino l'enorme declino politico, economico, diplomatico e culturale dell'Europa nel mondo. Abbiamo bisogno di leader che prendano le decisioni giuste. Ma in questo momento di leader non ne vedo».

Se la difesa comune e il debito comune sono così importanti, perché sembra impossibile trovare un accordo tra i 27?

«Non c'è un'idea chiara di cosa vogliamo fare, né delle politiche necessarie. Sulla Difesa comune ad esempio domandiamoci: siamo pronti? È sufficiente la capacità di difesa di ogni singolo Paese? Dieci anni fa l'Europa rappresentava il 23% del Pil mondiale, oggi il 16%. È una conseguenza di Trump? No. È perché spendiamo troppo in difesa? No. Guardiamo all'enorme quantità di errori commessi».

Il Parlamento Ue ha votato la commissione von der Leyen. Ci sono voluti cinque mesi per trovare un'intesa, e la maggioranza è al minimo storico. Grandi Paesi come Germania e Francia attraversano crisi politiche profonde. Che ruolo può giocare questa Europa?

«Il futuro dell'Europa non può prescindere da questioni centrali come la demografia, l'immigrazione e la sicurezza. Poi la crescita economica, la transizione energetica, l'evoluzione tecnologica. Infine l'idea di Europa come fattore di libertà e diritti umani. Dopodiché possiamo anche rafforzare il mercato unico e l'unione bancaria, ma non è questo il centro del problema».

Ha citato l'immigrazione. Il governo italiano ha tentato la strada dei trasferimenti in Albania, cosa ne pensa?

«Penso che in Spagna l'immigrazione non era un problema un anno fa e ora è un problema, perché l'attuale governo si è dimostrato inefficace. L'Italia ha intrapreso un percorso».

I trasferimenti sono stati bloccati dai tribunali in attesa della Corte di giustizia Ue. Chi decide, la politica o i tribunali?

«Le politiche sull'immigrazione in Italia e in Europa dovrebbero procedere assieme, perché un paese che rappresenta il confine Sud del Mediterraneo riguarda tutto il continente. Bisogna aiutare l'Italia ad affrontare il problema immigrazione. Analizziamo la strategia dei trasferimenti per capire se può andare bene, se si può migliorare, se ci sono o no delle alternative, se funziona».

Da Raffaele Fitto commissario al ruolo nell'Ecr: come giudica la partita di Giorgia Meloni a Bruxelles e quale può essere il suo futuro politico nell'Ue?

«Mi piacerebbe molto avere l'opportunità di parlare con Meloni. Non l'ho incontrata personalmente, ma seguo con attenzione la sua attività. Penso che sia uno dei leader più interessanti nello scenario europeo di oggi».

Crede che il patto di stabilità sia ancora attuale?

«Ho sostenuto l'idea di equilibrio e disciplina nell'economia da prima della pandemia. Dalla pandemia in poi si è preferito fare deficit senza limiti, ma questa è l'espressione di politiche populiste e le politiche populiste non ce le possiamo permettere». (Quanto alla transizione energetica, Aznar aveva lanciato i suoi strali già nell'incontro con gli studenti: «Come si fa, entro il 2030, ad avere in Italia e Spagna solo veicoli elettrici? Non è solo impossibile, è stupido pensarlo. Così si distrugge l'industria europea»).

Un po' di storia: è vero che a Valencia, nel 1996, Romano Prodi le chiese di ritardare l'adesione all'euro?

«Sì. In quel momento erano molti i leader a pensare che fosse difficile rispettare i tempi e le regole dell'euro, e l'idea era che Italia e Spagna potessero entrare nella moneta unica in un secondo momento».

Lei ha conosciuto Berlusconi. Che ricordo ha? Crede all'ipotesi secondo cui nel 2011 ci fu una manovra di Francia, Germania e Bce per far cadere il suo governo?

«Berlusconi è stato un grande amico, le iniziative politiche che abbiamo assunto assieme hanno funzionato e il bilancio è molto positivo. Ma essere uno degli imprenditori più importanti del Paese e decidere allo stesso tempo di essere primo ministro non è normale, e quando venne da me nel 1993 dicendomi di voler entrare in politica tentai in ogni modo di dissuaderlo. Quanto alle storie che lo riguardano, non possono intaccare la sua profonda eredità, che è una buona eredità».

Qual è stato il momento più difficile della sua carriera?

«Quando decisi di lasciare il governo (Aznar annunciò che dopo le elezioni del 2004 si sarebbe ritirato dalla politica attiva. Tre giorni prima del voto gli attentati jihadisti di Madrid sconvolsero il Paese, il governo accusò l'Eta, pagandone il prezzo alle urne. Erano le informazioni che ci avevano dato i servizi di intelligence, spiega l'ex premier). Tutti erano in disaccordo con me. Avevo 51 anni, ero all'apice della mia carriera politica, e il mio lavoro mi piaceva. Lasciare fu una decisione molto difficile».

Mai rimpianto quella scelta?

«No, fu la scelta giusta. La politica mi scorre nelle vene, ma non mi piace la politica di oggi. Non mi piace il populismo. Non mi piacciono alcune delle conseguenze della rivoluzione digitale sulle democrazie, l'assenza di responsabilità di molti leader e la mancanza di senso del futuro che molti dimostrano».

Ieri è meglio di oggi?

«Non per forza. Oggi è diverso, di sicuro non è meglio.

Il mondo sta vivendo un'enorme trasformazione, non è facile ma i leader devono dedicarsi a capire il presente e le ragioni della Storia. Purtroppo vedo che la maggior parte dei leader politici di oggi non solo non si preoccupa della Storia, ma nemmeno si accorge di ciò che sta accadendo sotto ai loro occhi».

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