Per una volta nella sua vita, il Consiglio superiore della magistratura aveva destituito dalla carica un procuratore della Repubblica accusato di avere un rapporto privilegiato con la sinistra: la sinistra in una delle sue incarnazioni più potenti, il Pd che da ottant'anni comanda a Reggio Emilia. Marco Mescolini (nella foto) tre anni fa era stato spedito dal Csm a Firenze, come semplice pm. Aveva fatto ricorso al Tar, e lo aveva perso. Ma ora una gigantesca ciambella di salvataggio gli viene lanciata dal Consiglio di Stato. Annullata la delibera del Csm, annullata la sentenza del Tar. Ora Mescolini può sperare di tornare a Reggio, dove il Pd raccoglieva firme in sua difesa.
A chiedere al Csm di allontanare Mescolini da Reggio erano stati quattro dei suoi pm, denunciando con coraggio i comportamenti di Mescolini: che quando erano saltate fuori le sue chat con Luca Palamara, con cui concordava la sua nomina a procuratore, aveva addirittura negato di conoscere Palamara; e che aveva trattato con i guanti in un'indagine il sindaco dem di Reggio Emilia, ritardando una perquisizione fino alla fine della campagna elettorale. Ma Mescolini è anche qualcos'altro: è il pm divenuto famoso, quando era alla Dda di Bologna, per il processo Aemilia sugli affari della ndrangheta in zona, culminato nell'arresto dell'esponente di Forza Italia Giovanni Bernini. Nello stesso periodo in cui incriminava Bernini Mescolini non iscriveva nel registro degli indagati alcuni personaggi di spicco del Pd locale, tra cui l'ex sindaco Graziano Delrio, che comparivano nell'inchiesta e sui quali, secondo il pm dell'Antimafia nazionale Roberto Pennisi si sarebbe potuto e dovuto scavare.
Ora sulla gestione dell'inchiesta Aemilia il ministro Carlo Nordio ha preannunciato una indagine. Ma intanto, il suo protagonista Mescolini ottiene dal Consiglio di Stato presidente Marco Lipari, estensore Pietro De Berardinis una riabilitazione in piena regola, che costringerà il Csm a riesaminare la pratica. Il trasferimento d'ufficio del procuratore per incompatibilità ambientale non sarebbe stato abbastanza motivato. Eppure la stessa sentenza dà atto che il Csm «ha certamente svolto una approfondita istruttoria in relazione alla situazione di disagio venutasi a creare all'interno della Procura di Reggio Emilia» e che dalla audizione delle pm «sono emersi elementi di conferma». Ma il Csm avrebbe omesso di interrogare le forze dell'ordine di Reggio Emilia, per capire se anche loro si sentissero «a disagio» col procuratore, e non avrebbe approfondito i suoi rapporti con gli avvocati. Ma qui la sentenza del Consiglio di Stato diventa divertente, perché per salvare Mescolini cita la deposizione dell'ex presidente dell'Ordine degli avvocati di Reggio, Celestina Tinelli: senza ricordare che la Tinelli è organica al Pd, è stata al Csm in quota Pd ed è stata tra gli sponsor, grazie al suo amico Palamara, della nomina di Mescolini a Reggio.
Ma la cosa più notevole nella sentenza del Consiglio di Stato è quando si scrive che in fondo ad accusare Mescolini per la gestione di Aemilia c'è solo un inquisito della stessa inchiesta (ovvero Bernini) e che l'indagine «ha trovato conferma nei vari giudizi che ne sono scaturiti». È un falso storico perché vennero assolti sia Bernini che il suo compagno di partito Giuseppe Pagliani, indicati da Mescolini come il braccio politico dei clan calabresi.
Ora la palla torna al Csm, alla prima commissione presieduta dall'ex deputato azzurro Enrico Aimi, che dovrà fare
una nuova istruttoria. Ma se alla fine dovesse dare ragione a Mescolini, non potrebbe comunque rimandarlo al suo posto: perché nel frattempo a Reggio Emilia è arrivato Gaetano Paci, e due procuratori non ci possono essere.
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