Consip, babbo Renzi a giudizio. Verdini condannato a un anno

Resta solo l'accusa di traffico di influenze. La procura punta al maxi-processo e unifica tutti i filoni d'inchiesta

Consip, babbo Renzi a giudizio. Verdini condannato a un anno

A sette anni dai fatti, con la prescrizione in agguato: ma il prossimo 16 novembre Tiziano Renzi dovrà entrare in un'aula del tribunale di Roma, e sedersi in pubblica udienza sul banco degli imputati. Dopo un percorso giudiziario - ma anche politico e giornalistico - quanto mai controverso, l'indagine sugli affari della Consip, la centrale degli appalti pubblici, arriva comunque al risultato di portare a giudizio il padre dell'ex presidente del Consiglio. Traffico d'influenze, per avere cercato di spianare la strada degli appalti all'imprenditore napoletano Alfredo Romeo. Una accusa di cui il difensore di Renzi senior, Federico Bagattini, si dichiara sicuro di dimostrare l'inconsistenza, dopo avere rimarcato che dei quattro capi d'accusa ne sono già caduti tre, i due relativi agli appalti di Grande Stazioni e quello relativo alla turbativa d'asta Consip. «Faremo l'en plein», dice l'avvocato.

Che gli elementi d'accusa non siano solidissimi d'altronde sembra saperlo la stessa procura di Roma (il pm Mario Palazzi e l'aggiunto Paolo Ielo) che per le stesse accuse aveva già proposto l'archiviazione integrale, scontrandosi con il diniego del giudice preliminare. Di questa divergenza tra magistrati arriva la riprova anche nell'udienza di ieri, e ne fa le spese Denis Verdini, anche lui accusato di avere tramato sul fronte Consip a favore della cordata rivale a Romeo: aveva chiesto il rito abbreviato, il pm Palazzi chiede la sua assoluzione da tutte le accuse, il giudice Annalisa Marzano gli rifila un anno per turbativa d'asta.

Babbo Renzi invece va a processo: anzi, a quanto pare, al maxiprocesso. Perché la Procura di Roma, sbrigata anche l'udienza di ieri, si accinge a riunire in un unico filone la diaspora di giudizi scaturita dal calderone Consip: convinta che solo in una unica sede si possa davvero capire cosa è accaduto in questo groviglio di politici forse affaristi e di carabinieri sicuramente chiacchieroni, tra soffiate e scoop vari. Basti pensare che Tiziano Renzi finisce a processo sull'ipotesi che ci fosse lui alle spalle di Carlo Russo, l'imprenditore fiorentino che si dava da fare a favore di Romeo: ma nemmeno la Procura si sente di escludere che Russo millantasse quando vantava aderenze con il babbo dell'attuale leader di Italia Viva. Il problema è che con l'accusa di avere truccato l'informativa sui rapporti tra Russo e Renzi per incastrare il secondo è ora sotto processo l'ex maggiore dei carabinieri Giampaolo Scafarto.

Il processo a Scafarto è uno di quelli che la Procura di Roma punta a unificare con quello a Renzi senior; il secondo è il dibattimento, anch'esso già in corso ma alle battute iniziali, dove è imputato Russo (e questo appare inevitabile, visto che i due sono accusati di essere complici). A rendere tutto più complicato c'è il fatto che nel filone dove è imputato Scafarto ci sono anche l'ex braccio destro di Renzi, Luca Lotti, e il generale dell'Arma Emanuele Saltalamacchia, che avrebbero spifferato ai vertici Consip l'esistenza dell'inchiesta. E in quel processo è citato come testimone, insieme ad una altra cinquantina di sconosciuti e di eccellenti, anche Matteo Renzi: che se tutto diventa un unico processo, dovrà testimoniare nel processo contro il padre.

Un processo all'apogeo del renzismo, questo si

annuncia il maxiprocesso Consip. Dove l'unico punto fermo è finora la condanna di un altro generale dei carabinieri, Tullio Del Sette: dieci mesi per avere consigliato al capo di Consip di non parlare troppo al telefono.

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