Neanche il tempo di festeggiare la scena di Giuseppe Conte costretto a salire al Quirinale a dimettersi, e per Matteo Renzi arriva la notizia che potrebbe guastargli la giornata, ripiombandolo in quel groviglio di vicende giudiziarie che lo accompagna ormai da anni. Il leader di Italia Viva apprende da un flash d'agenzia che gli toccherà andare a sedersi davanti ai giudici del tribunale di Roma e raccontare sotto giuramento la sua verità sul caso Consip, il processo che ha investito in pieno Luca Lotti, l'uomo che per lunghi anni è stato il suo braccio destro. Lotti non lo ha seguito nell'uscita dal Pd, i rapporti tra i due non sono più ferrei come un tempo. Ma l'ex sottosegretario di Palazzo Chigi custodisce tuttora i segreti del «giglio magico», il periodo ruggente della leadership di Renzi. Compresi i rapporti sotterranei con la magistratura, tra cui la famosa riunione all'Hotel Champagne per lottizzare le cariche delle toghe finita al centro del «caso Palamara».
Ieri a Roma si è aperto il processo a carico di Lotti e di altri cinque imputati per traffico di influenze, falso in atto pubblico e violazione del segreto d'ufficio. Sul banco accanto a Lotti siedono il generale Emanuele Saltalamacchia, ex numero 1 dell'Arma in Toscana, e del maggiore Giampaolo Scafarto, oltre all'imprenditore Carlo Russo. Ed è in questo processo che la Procura di Roma ha depositato ieri la lista dei testimoni destinati a dimostrare la tesi d'accusa: l'esistenza di un flusso riservato di notizie, provenienti da ambienti politici e istituzionali, in grado di ostacolare le indagini sulla Consip, la centrale degli acquisti della pubblica amministrazione. Il nome che spicca tra i cinquanta testimoni d'accusa è quello di Renzi. Insieme all'ex premier c'è un altro dei suoi uomini di fiducia, il presidente di Iv Ettore Rosato. Citati anche il presidente della Puglia Michele Emiliano e il colonnello Sergio De Caprio alias Ultimo, ex comandante del Noe, il Nucleo operativo ecologico dei carabinieri.
La testimonianza di Renzi viene chiesta dalla Procura su un punto solo apparentemente marginale: quali erano i rapporti reali tra Lotti e Luigi Marroni, l'uomo messo proprio da Renzi nel 2015 alla guida della Consip? Il guaio è che oggi Marroni è il principale «pentito» di questa inchiesta, dopo avere raccontato al pm napoletano Henry John Woodcock che proprio Lotti lo aveva avvisato dell'inchiesta in corso sugli appalti Consip, invitandolo a non fidarsi del telefono. Lotti replica, in sostanza: non avevo motivo di avvisare Marroni perché da tempo non ci vado più d'accordo, potete chiederlo anche a Renzi.
Chi dei due mente, Lotti o Marroni? La risposta di Renzi è prevedibile. Ma il quesito rischia di portarsi dietro, tra interrogatori e controinterrogatori, l'intero tema del ruolo della famiglia Renzi in questa storia: dopo avere interrogato Marroni, Woodcock voleva mandare subito i carabinieri a perquisire Tiziano Renzi, e solo dopo essersi consultato con il procuratore aggiunto di Roma, Paolo Ielo, ci ripensò. Babbo Renzi venne comunque indagato, la Procura chiese di archiviarne la posizione, ma il giudice preliminare si oppose. E ora rischia di finire anche lui a processo.
E poi c'è il resto, l'inchiesta sul verminaio del Consiglio superiore della magistratura, che col caso Consip ha più di un contatto. Nell'incontro all'Hotel Champagne, prima di affrontare il tema delle nomine, Lotti e Luca Palamara parlano proprio dell'inchiesta Consip.
E, stando alle trascrizioni della Guardia di finanza, Palamara promette a Lotti, se diventerà procuratore aggiunto, di intervenire sull'inchiesta Consip. In aula, a Renzi potrebbero chiedere anche: lei ne sapeva qualcosa?
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