Ancora una volta Giuseppe Conte va allo scontro frontale con Mario Draghi. E ancora una volta ne esce con le ossa rotte. Era già successo a maggio, in occasione della nomina di Elisabetta Belloni al Dis, scelta cui l'ex premier si era fermamente opposto sostenendo le ragioni del prefetto Gennaro Vecchione. E la stessa cosa aveva fatto due settimane dopo, in occasione della designazione di Dario Scannapieco ai vertici di Cassa depositi e prestiti. In entrambe le circostanze, Conte aveva provato a far valere le sue ragioni direttamente con Draghi: due diversi colloqui telefonici che si sono chiusi in maniera piuttosto animata. Così, non è un caso che sulla riforma della giustizia tra i due non ci sia stato alcun contatto. Con l'ex premier che prima ha provato a fare muro per interposta persona (il capo delegazione Stefano Patuanelli). E poi si è schierato contro Draghi e il Guardasigilli Marta Cartabia. Pubblicamente, Conte ha usato toni sì critici, ma non conflittuali. In privato, riferisce chi lo ha sentito, è stato ben più netto, puntando il dito contro «il metodo Draghi», definito «inaccettabile». L'avessi fatto io, è stato il senso delle sue parole, mi avrebbero impallinato, sarebbe venuto giù tutto.
Il premier, però, non pare curarsi molto delle lamentele del suo predecessore. Né delle minacce di fronda parlamentare che arrivano sia da Conte che da mezzo M5s, decisi a fare la guerra alla riforma della giustizia così come uscita dal Consiglio dei ministri di giovedì scorso. Tanto che ieri Draghi ha tirato dritto per la sua strada. E al Parlamento che ha rinviato la nomina dei quattro consiglieri politici del cda Rai - colpa soprattutto della faida interna al Movimento tra Beppe Grillo e Conte che rende quasi impossibile trovare un accordo complessivo - ha risposto con un'altra accelerazione. Palazzo Chigi, infatti, ha fatto sapere che nel prossimo Cdm saranno proposti i nomi di Marinella Soldi e Carlo Fuortes come componenti del cda di viale Mazzini. E quest'ultimo sarà anche indicato per il ruolo di ad. Il messaggio è chiaro: dal Recovery plan alla Rai, Draghi non ha intenzione di restare imbrigliato nella palude dei partiti.
Un metodo che Conte - e un pezzo corposo del M5s - guardano con dissimulato fastidio. Ma, va detto, sulla riforma della giustizia l'affondo dell'ex premier ha pure ragioni interne. Se il Movimento ha ammainato l'ultima bandiera identitaria che gli restava - quella giustizialista - è infatti anche per il caos che regna dentro i gruppi parlamentari. Al punto che sarebbe stato lo stesso Grillo a parlare con Draghi e dare il suo benestare alla riforma, costringendo di fatto il povero Patuanelli ad abiurare. Insomma, non solo Draghi ma pure Grillo pare preoccuparsi poco dei desiderata dell'ex autoproclamato avvocato del popolo. Che, evidentemente, non ha gradito. Tanto che ieri sottolineava come la disfatta sulla prescrizione fosse soprattutto colpa del fondatore. «Ecco cosa succede se nel Movimento non c'è una chiara leadership politica», ha ripetuto in privato a diversi interlocutori.
Nel frattempo, lo strappo sulla giustizia - e in particolare sulla prescrizione - allontana Conte dal Pd. E, forse per la prima volta, incrina un'asse che aveva resistito persino alla caduta dell'ex premier. Anche i vertici del Nazareno, infatti, hanno posizioni molto più in sintonia con il nuovo corso. E non guardano con entusiasmo alla deriva giustizialista caldeggiata dal trittico formato da Conte, Alfonso Bonafede e Alessandro Di Battista. Peraltro, pure a Enrico Letta sono arrivati gli echi di guerra dell'ex premier.
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