Conte evita la trappola Mes e promette nuovi miracoli

La comunicazione in Aula diventa "informativa" e non si vota. Da Autostrade al Recovery Italia, soliti annunci

Conte evita la trappola Mes e promette nuovi miracoli

Niente elezioni, e questo si era capito da tempo. Ma ora non si vota più nemmeno in Parlamento, e neanche su una questione di interesse nazionale come gli aiuti europei. Stamattina Giuseppe Conte lascerà gli sfarzi di Villa Pamphilj e, verso le 11,30, apparirà al Senato per parlare di Mes e dintorni. Però, dopo il suo discorso, nessuna suspense, nessuna conta: le «comunicazioni» del premier sono state infatti derubricate a una semplice «informativa», che appunto non prevede che l'aula si esprima e magari mandi sotto il governo, o evidenzi una maggioranza diversa. A quel punto addio sogni di gloria, all'avvocato del popolo non rimarrebbe che tornare davvero al suo lavoro, come ha detto lunedì.

Non è certo una bella immagine, anzi è una prova di debolezza estrema, la conferma che l'esecutivo giallorosso si regge con gli spilli. Autostrade, sicurezza, grandi opere, giustizia, sono tanti i fascicoli scottanti che dividono la maggioranza: Conte va avanti rimandando le scelte. «Per Autostrade bisogna chiudere il dossier il prima possibile, però la proposta dell'azienda, un piano da 2,9 milioni di euro, è inaccettabile». Quanto ad Alitalia, «nascerà una newco integrata al sistema delle infrastrutture, non un carrozzone di Stato».

Ma adesso che tocca al Mes la questione si fa seria. I Cinque Stelle considerano da sempre il fondo Salva Stati come una Trojka mascherata, un attentato alla sovranità italiana, e chiedono uno strumento finanziario diverso. A Palazzo Madama ci sono almeno cinque senatori del Movimento pronti al no, anche a costo di far cadere il governo. Forse non aspettano altro, vista la resa dei conti in atto tra i 5s. Il punto è che non possiamo fare a meno dei 30-40 miliardi del Mes, sia pure condizionati alla sanità. Da qui il tentativo di far digerire il piatto ai grillini con i dovuti tempi, magari dopo aver ottenuto qualche promessa in più sul Recovery Fund.

Votare oggi sarebbe quindi troppo pericoloso. Meglio rimandare, si sono detti a Palazzo Chigi, incassare la figuraccia ed evitare guai. Furiosa Emma Bonino. «Sono quattro mesi, dal 20 febbraio, che alle Camere non è consentito di esprimersi con un atto di indirizzo sulle decisioni europee. Con tutto il rispetto per le ville altolocate, il luogo delle decisioni è il Parlamento. Dovrebbe essere il presidente del Consiglio a chiedere un voto, perché lo renderebbe più forte. Siccome non sono certi che la maggioranza regga, si umilia una istituzione».

Una volta scansato il pericolo immediato, non sarà comunque facile per Conte tirare avanti. Il Pd, che ha ingoiato a fatica la bizzarria degli Stati Generali, vuole meno fuffa è più fatti. Nicola Zingaretti ha il terrore di essere risucchiato nella melassa dell'immobilismo pagando dazio quando prima o poi si tornerà alle urne. «È l'ora delle scelte - dice il segretario del Pd - al governo serve velocità». I soldi non arrivano, la ripresa langue, la cassa integrazione per molti è ancora un sogno. Aggiungiamo l'ostilità di Confindustria, i dubbi dei sindacati e la freddezza del Colle, che aspetta «risultati». Segnali di svolta non se ne vedono e il presidente del Consiglio mette le mani avanti: «L'Italia sta uscendo da uno shock senza precedenti. Gli effetti della crisi devono ancora dispiegarsi».

Le difficoltà economiche si sommano all'esplosione M5s e ai giochini di Renzi, che un momento tratta con Conte sulla legge elettorale, un altro sembra fare sponda con Di Maio e

Di Battista per farlo cadere. Circolano persino due nomi per Palazzo Chigi, Marta Cartabia e Raffaele Cantone. Il premier prova a buttare la palla lunga: «A settembre presenteremo il piano Recovery Italia». Sarà ancora lì?

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