C i ha provato a fare finta di nulla. La crisi? Se non la chiami non esiste. È la sua solita tattica per sopravvivere: fare il morto a galla. Finora in qualche modo è andata bene. Stai lì, galleggi, ti lasci portare dalla onde e rimandi tutto a un domani indefinito. Il costo è che non hai un approdo, ristagni, non vai da nessuna parte. Il vantaggio è che non affondi e pazienza se intorno gli italiani stanno con l'acqua alla gola. Ci ha sperato, solo che questa volta il maremoto non si può nascondere. Il governo deve fare i conti con l'addio dei renziani.
Giuseppe Conte nel pomeriggio è salito dal presidente Mattarella. La visita al Quirinale non è riuscito a evitarla. Ci ha messo un giorno in più del necessario, ma alla fine si è dovuto incamminare. Lì la crisi è diventata ufficiale. Non è più possibile galleggiare. Il messaggio del Colle è sempre lo stesso da settimane. Non bisogna disperdere energie, muoversi senza ambiguità e senza perdere tempo. Non si possono lasciare gli italiani nell'incertezza. Il capo del governo andrà in Parlamento a dire quello che tutti già sanno: questa avventura è finita. Mattarella firma il decreto con il quale vengono accettate le dimissioni di Teresa Bellanova, Elena Bonetti e il sottosegretario Ivan Scalfarotto.
E adesso? Adesso si naviga a vista. Non c'è una rotta definita e neppure immaginata. Le prediche di Mattarella sono inutili. C'è un Conte che cercherà, affidandosi all'imponderabile, di non andare a casa. Tutto questo però senza correre troppo, perché nella sua testa ogni giorno che passa è la promessa che qualcosa di inatteso può arrivare a salvarlo. Da qualche parte ci sarà una pattuglia di responsabili, messi insieme in una forma che non sia indigesta a Quirinale, per chiudere questa storia come se fosse una brutta parentesi. Conte si vuole convincere che si può ripresentare una terza volta con un vestito diverso. Conte uno, Conte due, Conte tre. Suona perfino bene. L'importante è crederci.
Davvero il Pd accetta di andare alle elezioni a giugno? No, queste cose si dicono per mettere all'angolo quell'avventuriero di Renzi. Una soluzione spunterà fuori. Ci saranno altri Riccardo Nencini, il senatore socialista che fa gruppo con i renziani, che si è scoperto subito «responsabile». Potrebbe nascere un «centro per Conte», ma senza farlo sapere troppo in giro, perché a quel punto Zingaretti o Di Maio potrebbero preoccuparsi. Ci manca solo che da questa crisi ne esca un Conte con ambizioni da leader di partito. Non scherziamo. Ma quel «centro» da occupare esiste ed è lo stesso che fa gola a Renzi. Ora è vero che il Pd ha appena detto «noi sosteniamo Conte», ma anche in questo caso non bisogna credere troppo alle parole. Giuseppe resta un fastidio e una scommessa persa.
Conte sì, adesso, perché bisogna sbattere in faccia a Renzi la sua arroganza, ma ancora non l'hanno prescritto i medici, ovvero i virologi, che il signor Giuseppe bisogna tenerselo a tutti i costi. Le strade della politica sono infinite. Quando si apre una crisi al buio, come questa, non si sa mai se spunta un premier più adatto alle esigenze delle prossime stagioni. Non è poi un segreto che Conte, e Rocco Casalino, stanno sulle scatole a tanti e in particolare nel Pd. Quello che turba non è tanto la tattica del «morto a galla», ma il fatto che il morto galleggiante abbia la pretesa di governare ogni cosa senza risolvere nulla. Questa cosa sembra faccia impazzire tutti quelli che hanno a che fare con lui. Non fa niente e non lascia spazio agli altri. È un accentratore del vuoto. Quel vuoto, giorno dopo giorno, risucchia tutto ciò che galleggia intorno a lui. Conte insomma è un alibi e una maledizione per il Pd. In tutti e due casi il costo per il «partitone» rischia di diventare salato.
Di certo c'è che l'avvocato pugliese ha già consumato due governi e ci vuole un certo coraggio nel dargli per la terza volta fiducia. Non fosse altro perché in questi due anni non si è ancora ben capito cosa rappresenti davvero Conte. È un grillino spuntato a sorpresa a Palazzo Chigi perché amico degli amici. È il testimone di nozze dell'alleanza tra Di Maio e Salvini. È poi diventato il nemico di Salvini e l'avversario interno di Di Maio. È il premier che a un certo punto ha preso le distanze dai Cinque Stelle, per candidarsi a punto di riferimento futuro per la sinistra. Non ha mancato di dire che il suo cuore ha sempre battuto per il Pd, ma si è anche ritrovato, non a sua insaputa, benedetto da Trump. È un po' americano e un po' cinese. È nato con Renzi e morto con Renzi.
Qualcuno si ricorda un'idea politica di Conte? Forse è proprio questo il suo segreto e non è un caso che il suo destino sia legato ai «responsabili». La realtà è che ne incarna lo spirito. È quel tipo di «responsabilità» che ha nel trasformismo la sua vocazione politica. È l'arte di Fregoli applicata ai giochi della democrazia, basta cambiarsi d'abito e ripresentarsi con la stessa faccia sorridente e un oplà di benvenuto verso il pubblico. Uno, due, tre. Rieccomi. Solo che non è Fanfani. Non ha una strategia. Non crede in nulla che non sia il tirare a campare.
Quello che accadrà forse si vedrà lunedì o martedì in Parlamento, quando il Conte due chiederà la fiducia. A quel punto si capirà qualcosa di più sulla sceneggiatura di questa crisi surreale. Sapremo se Conte è al capolinea o se ricomincerà a fare il morto a galla.
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