«Lo sa che da quel giorno, sette anni fa, io mi sveglio tutte le mattine alle 4.35 precise e non mi riaddormento più? È come se da allora il mio orologio biologico fosse andato in tilt. A dimostrazione di quanto il sistema giudiziario possa incidere sulla vita, la psiche e il corpo della persone».
Sette anni fa, il 19 ottobre 2015, Massimo Garavaglia (oggi ministro del Turismo per la Lega nel governo Draghi, all'epoca assessore all'Economia della Regione Lombardia) era a Roma. «Avevo appuntamento a Palazzo Chigi con l'allora premier Matteo Renzi, come rappresentante della Regione. Ma mi squillò il cellulare: «molla tutto e torna a Milano, sei indagato». Né io né il mio staff avevamo idea di quale fosse l'accusa. In verità ancora non lo ho capito, per quanto era surreale. Ma nel frattempo, il fascicolo giudiziario che mi riguardava veniva praticamente volantinato ai cronisti fuori dal Palazzo di Giustizia: in pochi minuti, i social ne sapevano più di me».
Ministro Garavaglia, da quella vicenda lei è uscito benissimo: assolto con formula piena in primo e in secondo grado. Quindi il sistema funziona?
«No, non funziona. Io ho passato sette anni da incubo, e ne sono uscito grazie al sostegno eccezionale della mia famiglia. Ma quanti, meno fortunati di me, vengono stritolati, anche se innocenti, da vicende giudiziarie? È urgente e indispensabile una riforma profonda e seria della giustizia».
I cinque referendum del 12 giugno vanno in questa direzione?
«Certo: andare al seggio e votare cinque sì sarà un segnale importantissimo. Il paese ha estremo bisogno di ripristinare un clima di fiducia nel sistema giudiziario da parte dei cittadini. Basta dare un occhiata ai sondaggi, che da anni registrano un progressivo crollo della fiducia nella magistratura per capire quanto sia drammatico il problema».
A giudicare dalle cifre della partecipazione allo sciopero indetto dall'Anm contro le riforme, nella stessa categoria dei magistrati non ci si fida poi troppo dei propri rappresentanti.
«È così: il clamoroso flop di quello sciopero è un chiaro segnale di scollamento anche interno. Molti magistrati sono consapevoli che la credibilità persa dalla categoria va riconquistata: troppi errori giudiziari, troppe persone ingiustamente perseguite, troppe inchieste-spettacolo che poi finiscono nel nulla. E chi pensa tanto a me non può capitare sbaglia: può capitare a chiunque, come è successo a me. E, quando poi ci si incappa, ci si rende conto dell'impatto devastante che un simile choc ha sulla vita reale di una persona. E io in fondo ho subito solo lo sputtanamento mediatico di accuse infamanti cui non puoi reagire: la tua foto nei tg, i sorrisetti quando vai a messa la domenica, l'impatto sui figli. Figurarsi chi finisce pure in galera e si fa mesi e mesi ingiustamente».
Molti avversari dei referendum obiettano che la materia è troppo complessa per lasciar decidere i cittadini, e che il Parlamento sta già votando la riforma Cartabia.
«La riforma del Guardasigilli migliora diversi aspetti del sistema, ma è solo un piccolo passo avanti. E non poteva essere che così, visto il peso di alcuni partiti forcaioli e manettari in questa maggioranza. Fare una riforma profonda avendo a che fare con i giustizialisti è impossibile: per questo, i cinque referendum sono lo strumento indispensabile per completarla e fare scelte che questo Parlamento, con le sue resistenze interne, non è in grado di fare».
Il Pd si è schierato per il no. Se lo aspettava?
«Sinceramente non me lo aspettavo, anche perché molti dem sono a favore dei quesiti. Ci sono questioni oggettive, come quello della valutazione dei magistrati, su cui la contrarietà del Pd mi lascia senza parole: le analisi più serie di organismi internazionali dicono che le performance dei magistrati italiani hanno standard bassissimi, e questo è un enorme problema per la credibilità del paese, con pesanti ripercussioni economiche. Purtroppo è prevalsa l'ansia di strizzare l'occhio all'elettorato più giustizialista, anziché la volontà di affrontare e risolvere i problemi del sistema».
I nemici dei referendum scommettono sull'astensionismo.
«È una pessima tendenza che si è affermata da anni: invece di fare una battaglia a viso aperto sul merito, difendendo le ragioni del sì o del no, si usa strumentalmente il quorum per boicottare lo strumento referendario. In modo ipocrita, anche grazie all'ostruzionismo mediatico e informativo. I media hanno avuto un'enorme responsabilità nel distorcere il sistema giustizia: negli ultimi decenni, l'avviso di garanzia si è trasformato in condanna, il processo di primo grado in ergastolo. Poi nel 90% dei casi il procedimento finisce nel nulla, nel silenzio totale. Spero che in queste ultime due settimane si riesca a far capire ai cittadini l'importanza di andare a votare per i cinque referendum: ce la possiamo fare».
Ministro Garavaglia, ai tempi di Tangentopoli la Lega sventolava il cappio in Parlamento mentre tanti politici finivano in ceppi. È pentito?
«Sì. Me ne sono pentito e me ne vergogno. È stato un grave errore».
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