Lo avevano promesso e lo hanno fatto. «Attaccheremo il territorio russo», avevano detto da Kiev. E non era solo una minaccia. Niente attacchi con i caccia (che ancora non ci sono e non si sa se arriveranno) e nemmeno avanzate inaspettate sul campo. Ma attacchi tramite il mezzo più utilizzato in questo primo anno di conflitto e che ha cambiato le strategie militari rivoluzionando gli equilibri stessi della guerra: i droni.
Esplosioni grazie ai droni ucraini nella città russa di Tuapse, nel Krasnodar, che hanno provocato un incendio in una raffineria del colosso petrolifero Rosneft, controllato dal governo russo. Poi un altro attacco nella regione di Kolomna, a poco più di 100 chilometri di Mosca, dove le autorità locali si sono affrettate a spiegare che non c'è stato nessun danno. Un attacco coordinato anche a Belgorod, dove sono stati trovati i rottami di almeno tre droni, forse abbattuti. I mezzi erano armati con una piccola carica di esplosivo al plastico, in modo che il drone resti leggero e facilmente manovrabile per essere indirizzato sugli obiettivi. Ed è giallo sull'allarme all'aeroporto di San Pietroburgo. Ieri mattina lo scalo è stato chiuso per alcune ore in susseguirsi di voci: prima si è parlato di un oggetto misterioso, poi di una più rassicurante (per il Cremlino) esercitazione aerea. Fatto sta che gli attacchi condotti da parte di Kiev preoccupano, almeno in parte, Mosca. È evidente che la tanto sbandierata offensiva di primavera potrebbe subire un rallentamento, data la necessità di controllare anche un fronte finora ritenuto non ad alto rischio, nonostante le tante barriere anti-missile installate nel centro di Mosca e in altre città chiave. Se non altro sarà un fastidio e un pensiero per la Russia, ieri costretta ad ammettere i numerosi attacchi subito pur minimizzando sulle conseguenze.
Un po' per spostare l'attenzione su una guerra che sembra pesantemente in fase di stallo per Mosca, un po' per tenere alta la tensione, ieri è tornato a parlare Vladimir Putin che ha lanciato un messaggio nemmeno troppo sibillino alle sue forze di sicurezza. «I servizi di sicurezza interni devono essere vigili per sventare i tentativi della feccia che cerca di provocare divisioni interne usando le armi del separatismo, del nazionalismo, del neonazismo e della xenofobia» ha detto lo Zar, evocando termini che, evidentemente, nulla hanno a che vedere con l'attuale situazione russo-ucraina. Recitando, come sempre, la parte del leader buono e saggio contro «il regime di Kiev che usa metodi terroristici e la Russia ne è ben consapevole», ha detto, accusando l'Occidente che «aspira a rilanciare le cellule di estremisti e terroristi sul territorio della Federazione Russa». Piace molto interpretare il ruolo di martiri e vittime, ai russi, anche se il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov rilancia senza nessuna remora: «Nell'ambito di un eventuale negoziato con l'Ucraina, la Russia non rinuncerà ai nuovi territori ucraini annessi alla Federazione». Il che significa che qualunque negoziato made in Mosca parte dal presupposto della resa di Kiev. Con buona pace dei pacifinti italiani che al non meglio specificato grido di «no armi» e «pace», ignorano (o fingono di farlo) la reale composizione di un conflitto in cui è chiarissimo chi sia l'aggressore e chi l'aggredito.
Il percorso di pace in ogni caso resta al momento difficilissimo e si gioca su un campo minato come quello cinese. Ieri il segretario di Stato americano Blinken è tornato ad avvisare Pechino dicendo che «gli Stati Uniti sono stati molto chiari con la Cina circa le implicazioni e conseguenze di un aiuto militare alla Russia, che rappresenterebbe un problema serio nelle relazioni tra Washington e Pechino», aggiungendo che «non esiteremo, ad esempio, a prendere di mira aziende o individui cinesi che violano le nostre sanzioni o sono comunque impegnati a sostenere lo sforzo bellico russo». Il piano di pace cinese è stato respinto da tutti, anche perché è sotto gli occhi di tutti l'ambiguità del Dragone che, promuovendo la fine del conflitto in Ucraina, punta a rilanciare la propria autorevolezza internazionale per avere mano libera su Taiwan.
Intanto anche il nostro Paese torna nel mirino. L'anchorman della tv russa Vladimir Solovyev, magnate e amico di Putin, ha attaccato l'Italia in video, definendo «bastardi» gli italiani, alleati dell'Ucraina.
«Chissà se a Milano si ricordano come baciavano le mani dei soldati russi», ha detto in diretta tv, con riferimento alla campagna italiana di Suvorov nel Nord Italia tra l'aprile e il settembre 1799, quando il generale russo, a capo dell'armata russo-austriaca, sconfisse l'esercito francese costringendolo a lasciare Milano. «Se fate i maleducati con noi, voi bastardi, dovete tremare. I russi partono piano, ma poi vanno veloce». La consueta moderazione tendente al pacifismo russo.
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