Non è una questione di poltrone, perché ormai in ballo c'è qualcosa di più profondo: la fiducia. Quanto costerà al centrodestra la disfida sul Copasir? Molto di più di quello che di vede. È una crepa e si sta allargando e tocca qualcosa che viene prima della politica, delle strategie, della ricerca del consenso, del peso dell'uno e dell'altro. È il rapporto umano. Non è vero che in politica non conta nulla. Se non ti fidi del tuo alleato finisci per giocare da solo. Non costruisci. Non ti riconosci. Non sei in grado di immaginare un futuro insieme. Quello che resta è un comitato elettorale, qualcosa che forse ti consente di vincere le elezioni, ma non di governare. È questo il punto: senza la fiducia il governo diventa solo poltrone.
La presidenza della commissione parlamentare di controllo sui servizi segreti spetta all'opposizione. Non è una consuetudine. Lo dice la legge. Al momento non è così. Il presidente è Raffaele Volpi. È leghista e il partito di Salvini è nella maggioranza. La norma non è rispettata. Fratelli d'Italia chiede che lo sia. Giorgia Meloni ne ha parlato con tutti, facendo notare che non si tratta di un capriccio ma di tutela di quei patti che sono alla base della democrazia: quando si deroga a una regola non si torna indietro. Si aprono le porte al caos e all'arbitrio. È un gioco pericoloso. Aggiunge Giorgia Meloni: «Se avessi voluto farne una questione di poltrone, sarei andata al governo o comunque, avrei aperto il tema di tutte le commissioni di garanzia, che per prassi vanno all'opposizione».
La situazione non si è sbloccata. Volpi non si è dimesso e la commissione, che svolge un ruolo delicato, fatica a riunirsi. Meloni ha scritto allora una lettera aperta a Salvini. Risposta. «Basta litigare sulle poltrone. Ho chiesto ai partiti di dimettersi tutti, così si ricomincia da capo». Fa sua in pratica la proposta di Volpi.
Non si è capito se sia davvero un passo avanti. Per qualcuno è un segnale di svolta, per altri è solo un modo per prendere tempo. L'idea di Salvini è che tutti si dimettono, i presidenti di Camera e Senato possono nominare cinque parlamentari della maggioranza e cinque dell'opposizione e a quel punto Fratelli d'Italia avrà il presidente, il nome è quello di Adolfo Urso. Il problema è che far dimettere qualcuno non è mai una cosa facile, così per ora si resta in stallo. I rapporti tra i due partiti continuano a incancrenirsi. Non è facile neppure per Forza Italia mediare. Il Copasir resta così la faglia su cui il centrodestra si ritrova a camminare. Lo stesso Volpi propone una strada alternativa che suona come uno schiaffo: «Si potrebbero cambiare i vincoli che vogliono la presidenza affidata solo all'opposizione e limarla in modo tale da renderla più attuale rispetto all'attività dei servizi segreti».
La commissione resta in una sorta di limbo. Mercoledì, dopo un mese e mezzo di stop, forse si torna al lavoro. C'è in agenda l'audizione di Franco Gabrielli, il sottosegretario con delega ai servizi segreti. Si dovrebbe parlare del caso Walter Biot, l'ufficiale di Marina accusato di spionaggio con i russi.
C'è, in tutto questo, una domanda che Giorgia Meloni fa a Salvini: «Perché è un problema che quel posto vada a un tuo alleato?». Questo è un punto che prima o poi andrà chiarito. Il Copasir non è una commissione come le altre. È un incrocio strategico. È una carta di difesa e per la Lega è cruciale. Questa però rischia di diventare una debolezza. Non conviene neppure a Salvini insistere a oltranza sul Copasir. È un arrocco che evoca domande. Il leader leghista lo sa e non può tenere aperta questa pratica troppo a lungo.
È un tormentone che finirebbe per sfibrarlo e fa addirittura pensare che non sia così sicuro di restare al governo a lungo. Le voci sul Papeete 2, smentite, nascono anche da qui. Il Copasir, insomma, rischia di diventare per Matteo una patente di inaffidabilità. Ne vale la pena?
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