Ci saranno anche otto giornalisti sudcoreani quattro di agenzie di stampa e quattro di canali Tv - fra i cronisti invitati ad assistere oggi, meteo permettendo, alla cerimonia di smantellamento del sito di test nucleari nordcoreano di Punggye-ri. Sarà una specie di posa del primo mattone, ma al contrario; nel senso che oggi si potrebbe festeggiare l'inizio del rito: smontandolo, per così dire, il primo mattone. Ma per concludere le operazioni, in modo che Trump, e il mondo, possano dirsi davvero soddisfatti, passerà ovviamente qualche tempo.
La svolta relativa alla presenza della stampa sudcoreana (giornalisti statunitensi, russi, cinesi e inglesi erano già in attesa a Wonsan, posta a 400 chilometri di distanza dal sito nucleare) è maturata all'ultimo momento. Il ministero dell'Unificazione aspettava il via libera dal Nord, e quando il segnale è arrivato (erano le 2 della scorsa notte, in Italia) la macchina si è messa in moto all'istante. Pronti i giornalisti prescelti, e pronto il volo di Stato su cui si sono imbarcati.
Tutto insomma sembra procedere sui binari di un ritrovato ottimismo capace di stemperare il gelo che era tornato nuovamente a calare sulle relazioni tra Corea del Nord e Usa, dopo che Trump era tornato a ribadire quei termini ultimativi che a Pyongyang erano parsi offensivi e privi di accettabile contropartita. Una perentorietà di toni ribadita ieri dal suo vice Mike Pence, che è tornato a roteare il manganello sulla pingue collottola con sfumatura alta di Kim Jong Un, minacciato di fare la stessa fine del colonnello Gheddafi, buonanima, se non metterà giudizio privandosi del suo armamentario.
Sullo sfondo c'è sempre lo storico incontro posto che avvenga davvero, come tutto il mondo si augura - tra il presidente Trump e il leader nordcoreano in programma a Singapore il prossimo 12 giugno. Vertice ancora «a rischio», dopo la dichiarazione di Trump che pretende il rispetto di «determinate condizioni». E dopo gli avvertimenti di Pyongyang che si era detta non interessata ai colloqui «se questi serviranno solo a metterci all'angolo e costringerci ad abbandonare le armi nucleari» così, come con una pistola puntata alla tempia, aveva lasciato intendere il vice ministro degli esteri Kim Kye-gwan.
A mettere in sospetto il regime nordcoreano erano state le parole del consigliere per la Sicurezza di Trump, John Bolton, secondo cui la Corea del nord dovrebbe seguire il «modello libico» e adoperarsi per un «completo, verificabile e irreversibile smantellamento» del proprio arsenale nucleare. Come fece appunto Gheddafi agli inizi del Duemila, accettando di abbandonare il suo programma nucleare in cambio della levata delle sanzioni internazionali.
Ma si sa (e i nordcoreani se lo ricordano benissimo) come poi andò a finire nel 2011, con Gheddafi rovesciato e ucciso dai ribelli appoggiati proprio da Washington. Sicchè non resta che incrociare le dita, e stare a vedere
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