No al cambiamento. No alle riforme. Cinque no sulla scheda. L'Associazione nazionale magistrati si è schierata contro le proposte dei Radicali e della Lega, ma almeno, pur nel torpore di un dibattito anestetizzato, ha preso posizione. Insomma, nel silenzio generale la magistratura associata è entrata nella querelle, snobbata da molti soggetti istituzionali.
Cinque no, dunque. Con bocciature a raffica spiegate dal presidente dell'Anm Giuseppe Santalucia: «Pensiamo alle pagelle per le toghe. Noi non siamo contrari alle valutazioni, siamo uno dei corpi professionali più valutati. Ma la valutazione deve rispettare la professionalità, non sollecitare sentimenti di competizione».
E ancora, sulla separazione delle funzioni: «Non si può cancellare il passaggio nel corso dell'attività lavorativa dalla funzione di giudice a quella di pm, perché questo arricchisce il bagaglio di esperienze».
Una vecchia storia che si ripropone ogni volta che si tenta di mettere mano alla materia: il pm deve rimanere, per l'Anm, nella cultura della giurisdizione perché altrimenti rischierebbe di trasformarsi in un superpoliziotto. Obiezione di stampo paternalistico: il pm oggi in Italia ha un grande potere che dovrebbe essere bilanciato da altrettanta responsabilità, ma così non è.
La svolta però
non è arrivata e l'Anm si è messa di traverso. Anche se gli scandali, le guerre di potere, le dimissioni a raffica da un Csm in crisi di legittimazione avrebbero meritato ben altre autocritiche e proposte. Così non è stato.
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