Mariupol. A maggio era ancora un abisso di distruzione, morte e disperazione. Oggi, a nove mesi dalla fine dei combattimenti, la città di Mariupol - simbolo e sacrario della guerra in Ucraina - è un cantiere a cielo aperto dove gli scheletri calcinati di palazzi in rovina lasciano il posto a scuole, ospedali e quartieri freschi d'intonaco. Per capirlo basta entrarvi dal versante nord orientale percorrendo la statale che scende da Donetsk, capitale dell'omonima repubblica filo-russa. All'ingresso un'icona con il volto di Maria domina l'insegna della città dipinta con i caratteri bianchi, rossi, azzurri della bandiera russa. Neanche un chilometro dopo le prime sorprese. «Guarda - urla Viktor, l'interprete che mi accompagna - lì c'erano tre palazzine ora non c'è più nulla». Non è proprio vero. Al loro posto sorgono tre collinette di macerie polverose su cui si rincorrono camion, bulldozer e un formicolio di operai in tuta blu.
«Abbiamo più di 300 palazzi da buttar giù, abbattiamo e sgombriamo tutto quello che è irrecuperabile, ma rimettiamo in sesto tutto quello che si può riparare. Guarda quel palazzo, era uno scheletro annerito dagli incendi, ma la struttura era integra. In due mesi abbiamo tappato i buchi, ricostruito gli appartamenti, rifatto il riscaldamento e rimessi i vetri. Ancora qualche giorno e lo restituiremo ai vecchi inquilini», spiega Mikhail, un architetto arrivato da Mosca, mentre ci accompagna sul lato della strada dove un parallelepipedo grigiastro di epoca sovietica è stato rattoppato con abbondanti dosi di cemento e mattoni. La scuola numero 27, fresca di tinteggiatura ed affollata di mamme in attesa della fine delle lezioni rappresenta un altro doppio volto di questa città in fuga dalla guerra. Qui a settembre tutto era già pronto e mia figlia ha potuto riprendere le lezioni - spiega Irina. Sull'altro lato della strada, proprio di fronte all' Istituto 27, le rovine di una palestra scoperchiata su cui le schegge hanno impresso sinistri rosari sono circondate da un giardino in rovina disseminato di lavagne, sedie e banchi abbandonati . «A differenza della nostra - scuote la testa Irina - quella scuola non si poteva recuperare. Per riaprirla bisognerà attendere che la ricostruiscano». L'aspetto più stupefacente della nuova Mariupol ci attende in via Kuprina, alla periferia sud occidentale della città. Qui gli spazi vuoti dell'area sono stati occupati da squadrate palazzine bianche affacciate su giardini e parchi giochi. «La mia casa è stata distrutta a marzo, la scorsa estate ho presentato i documenti richiesti e ad ottobre ho ricevuto il nuovo appartamento», spiega Dmitri, un ex-poliziotto in pensione titolare di una delle 928 abitazioni del quartiere Nevsky già assegnate gratuitamente alle famiglie senza un tetto.
A tirar le fila le cifre di questo miracolo edilizio ci pensa Oleg Morgun, un 58enne ex-ufficiale della polizia di Donetsk nominato sindaco di Mariupol dopo la vittoria russa. «Oggi in città lavorano più di 40mila fra operai, tecnici e dirigenti, ma siamo solo all'inizio. Fin qui abbiamo assegnato poco più di mille abitazioni, ma ne abbiamo altre 1.600 pronte. Di questo passo entro tre anni dovremmo aver rimosso tutte le macerie, garantito un alloggio a 9mila senza tetto e ricostruito buona parte della città». Quel che Morgun non sa, o non può rivelare, è il costo dell'operazione. Il budget è nelle mani del Ministero della Difesa che lo distribuisce a 16 entità russe costituite da aziende o istituzioni, tra cui la città di Pietroburgo gemellata con Mariupol. Ma dietro i miliardi distribuiti dalla Difesa non vi è solo un progetto urbanistico o sociale, ma anche - e soprattutto - geo-politico e strategico.
Ricostruire una città che contava 470mila abitanti, garantendo una casa ai 230mila cittadini rimasti e a quelli pronti a rientrare in un prossimo futuro, significa fare di Mariupol un simbolo del successo russo e sancirne l'annessione. Un'annessione militarmente irrinunciabile visto che perdendo Mariupol Mosca perderebbe il controllo del corridoio indispensabile a garantire i collegamenti tra la Crimea e le repubbliche di Donetsk e Lugansk.
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