Io credo che ci si debba sempre mettere nei panni degli altri, anche se sta diventando difficile in alcuni casi. Tipo: Emanuela, 53 anni, transgender, dopo una lunga battaglia giudiziaria, è stata riconosciuta legalmente donna, evviva! Con un ma. Senza terapie ormonali e senza operarsi: prima non era mai successo. Dice che è da quando aveva 5 anni che si sentiva donna, e ci sta. Io ho un'amica, anzi un amico, conosciuto su Twitter, Giulia, che soffre la stessa condizione, e al contrario vorrebbe diventare uomo. Gli ho parlato a lungo al telefono, lo chiamo Giu, e ho capito che è tanto forte il disagio con il proprio corpo che all'istante intraprenderebbe ogni trattamento, via il coso, via le tette, via gli estrogeni e giù con gli androgeni. È attratto dalle donne ma vuole essere maschio, anche con se stesso, ed è molto depresso perché il percorso in Italia è lungo e tortuoso. È single, perché finché non diventerà uomo non vuole fidanzate, che ora la vedrebbero come donna. (Non l'ho mai incontrato ma ci ho parlato molto al telefono, nel caso vogliate aiutarlo contattate me, e se la mia raccomandazione funziona datemi un ministero addetto alla verifica del cambio sesso, basta io non debba uscire di casa).
Il caso di Emanuela di Trapani è diverso. Cioè ti senti così donna ma non vuoi toccare niente del tuo corpo, mantenendo quello maschile, mentre il rapporto negativo con il proprio corpo, per chi soffre di disforia di genere, è straziante. Altrimenti fatico a comprendere come tu possa portare avanti una battaglia legale per venti anni solo per avere un nome cambiato su un documento. Oh, magari sono io che non capisco, sicuramente, infatti non ne faccio una questione morale, ne faccio una legale. Oppure neppure una legale (sono uno scrittore, mica un avvocato) ma ontologica. Disforia di genere un conto, sentirsi benissimo come si è un altro: sei semplicemente gay. O fluida. O quello che vuoi. Basta aggiungere un altro + a LGBTQ+.
Invece, cito Emanuela: «Non avere l'organo sessuale femminile non compromette il modo in cui mi percepisco, le mie sembianze non offuscano la mia identità femminile». Ma allora che cazzo (non l'avevo ancora scritto perché poi Minzolini si arrabbia, però diciamo che è quello l'oggetto dello scandalo) te ne frega di ricevere un'identità femminile riconosciuta da un tribunale? Trovi un partner e fai sesso con la carta d'identità? Credo che questo caso farebbe molto arrabbiare il mio amico Giu. E nel frattempo arriveranno le femministe a difendere il proprio utero (già è in atto una guerra con i transgender femmine che definiscono le donne «utero-munite»), per cui non so neppure che posizione sessuale prendere, perché le femministe non le sopporto.
In ogni caso io capisco i giudici di Trapani: dopo
vent'anni (ma fino ai trenta che ha fatto Emanuela?), lei non vuole tagliarselo, loro se lo sono rotti e avranno detto ok, basta che non ce le rompi più (anche qui sono sottintesi attributi che Emanuela vuole tenersi stretti).
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