«Dal colpo di stato del primo febbraio a oggi molti oppositori birmani hanno raggiunto i nostri territori. Noi siamo stati felici di accoglierli. In questo momento, oltre a proteggerli, garantiamo loro dei corsi di addestramento in cui imparano a difendersi usando le armi. Faremo di tutto per aiutarli ad affrontare la drammatica situazione del paese. Noi Karen siamo felici di collaborare con chiunque combatta la dittatura e siamo pronti a lavorare insieme per la vittoria».
Il generale NerDah Bo Mya per la prima volta in 54 anni di vita sente aria di rivincita. Suo padre, il leggendario generale Bo Mya, è stato il padre dell'ormai settantennale lotta per l'indipendenza dell'etnia Karen. Una lotta di cui NerDah ha raccolto, fin qui, solo le briciole. Nel 2006 quando, alla morte del padre, rientrò dagli Stati Uniti dove aveva studiato, si ritrovò a controllare un fazzoletto di terra circondato dalle truppe birmane. Ma in questi anni, grazie anche all'orgoglioso rifiuto di qualsiasi compromesso con il regime, il Kndo (Organizzazione per la Difesa Nazionale Karen) di NerDah ha lentamente recuperato posizioni. E oggi, grazie anche alla decisione del generale di aprire le porte agli oppositori in fuga dalle città, si ritrova a giocare un ruolo decisivo per il futuro della nazione. «Nelle città - spiega NerDah in quest'intervista esclusiva a Il Giornale - sono in corso veri e propri combattimenti tra studenti, regime militare e gruppi etnici. Da quanto vedo, la situazione potrebbe ribaltarsi nel giro di sei mesi».
Cosa glielo fa pensare?
«Le voci sempre più insistenti di pesanti divisioni interne. Alcune unità di polizia hanno rotto con il regime e si preparano a combatterlo. Questo scontro è particolarmente evidente nelle città dove tra poliziotti e militari non è mai corso buon sangue. Secondo alcune informazioni appena ricevute, alcuni veterani della polizia sono pronti a raggiungere le aree controllate dall'Unione Nazionale Karen (KNU - Karen National Union) per unirsi alle nostre forze armate».
Con Aung San Suu Kyi in carcere chi guiderà l'opposizione?
«Secondo me la signora non può più contare sullo stesso appoggio di un tempo. Negli ultimi anni si è giocata ogni possibilità di rivestire un ruolo. Anche perché è sempre stata al gioco dei generali e la gente ha perso fiducia in lei».
Molti in Birmania si aspettavano aiuto dall'Occidente.
«È vero. Sarebbe ora che gli Stati Uniti prendessero l'iniziativa e facessero qualcosa di concreto invece di parlare a vuoto. Sostengono di appoggiare l'opposizione, ma si guardano bene dal fornire un vero sostegno ai gruppi etnici e a chi combatte per la libertà e la democrazia. Quando si parla di libertà e democrazia, la gente guarda all'America. Ma noi non abbiamo visto nulla di concreto. Washington non fa nulla per appoggiare il nostro movimento».
Cosa vorreste?
«Dovrebbero darsi da fare per proteggere la nostra gente e pretendere maggior assistenza umanitaria per gli sfollati che cercano rifugio in Thailandia. Ma Washington dovrebbe fare molto di più anche per i Karen e le altre minoranze etniche in prima linea da molti decenni nella lotta per la libertà, la democrazia e l'autodeterminazione. Invece non riceviamo alcun aiuto».
Anche l'Europa parla sempre di democrazia e diritti civili...
«Invece i governi europei in passato non hanno lesinato gli aiuti al regime militare. Sarebbe ora che Bruxelles tagli quei fondi e imponga pesanti sanzioni. È ora di finirla con le vuote parole. Se si vuole veramente aiutare la popolazione bisogna mettere sotto pressione i generali golpisti. Chi appoggia il regime collabora, seppur indirettamente, all'uccisione di dimostranti e oppositori. L'Unione Europea deve lavorare con noi per garantire la libertà della Birmania».
Qual è il suo sogno?
«I miei unici sogni sono la pace del mio paese e la libertà della mia
gente. Per questa nazione molte persone hanno sacrificato la loro vita. Sogno che la libertà arrivi il prima possibile. E con lei la democrazia, l'autodeterminazione e un governo Karen all'interno di uno Stato federale».
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