Così Csm e magistrati provarono a insabbiare la sentenza taroccata

I giudici che condannarono il Cav aiutati dai colleghi. Rischio disciplinare per Aprile

Così Csm e magistrati provarono a insabbiare la sentenza taroccata

Il presidente della sezione Feriale che il primo agosto 2013 condannò in Cassazione Silvio Berlusconi, Antonio Esposito, fu assolto dal Csm il 15 dicembre del 2014 quando finì sotto processo disciplinare per l'intervista al Mattino del 5 agosto sulla sentenza Mediaset. Amedeo Franco, il relatore, nel 2016 fu «promosso» dal Csm presidente di sezione della Suprema Corte, dopo aver chiesto l'appoggio dell'ex primo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, allora consigliere giuridico al Quirinale. Che ne parlò con Ercole Aprile, altro componente del collegio che confermò la colpevolezza di frode fiscale al leader di Forza Italia, poi eletto al Csm nelle liste di Magistratura democratica. E a quel voto in plenum per la nomina di Franco, Aprile non si oppose ma scelse una formale astensione.

Sembra quasi che si sia creato un cordone sanitario delle toghe attorno ai 5 ermellini che, con il loro verdetto, imposero un pesante stop alla vita politica del Cavaliere. E ora che vengono fuori le rivelazioni su «cose indicibili» successe nella camera di consiglio di quel primo agosto, il tentativo di Franco di registrare i colleghi e il silenzio degli altri, come voci di interferenze dirette sulla decisione, nasce il sospetto che gli interessati avessero un credito da riscuotere, una protezione da chiedere ai colleghi e che, soprattutto, altri li assecondassero per evitare che scoppiasse uno scandalo e fosse messa in discussione la regolarità della sentenza. Fosse scoperta, insomma, la «porcheria» che lo stesso Franco (registrato) confessò a Berlusconi pochi mesi dopo la condanna.

Mettendo in fila fatti e indiscrezioni risultano evidenti due cose. Primo: il processo disciplinare del Csm guidato da Giovanni Legnini ad Esposito fu molto sofferto, in camera di consiglio si scontrarono posizioni diverse e in quel segreto, probabilmente, uscirono fuori particolari dell'altra camera di consiglio del 2013 che nessuno dei componenti poté rivelare. «Sono accaduti dei fatti rispetto ai quali deve essere interesse di tutti chiarire e comprendere che cosa è accaduto», ha detto sibillino Luca Palamara, allora componente della sezione disciplinare. Alla fine, forse prevalse anche la preoccupazione di non creare ombre sulla sentenza Mediaset e servirono 50 pagine di motivazioni per spiegare che Esposito (difeso nella prima fase da Piercamillo Davigo), anticipando di fatto il perché del verdetto, fu costretto a rompere l'obbligo di discrezione per difendersi dagli attacchi della stampa ostile. Qualcuno la definì «legittima difesa a mezzo stampa».

Secondo: anche dalle chat del «caso Palamara» emerge il ruolo di Aprile nelle nomine, quando l'ex presidente dell'Anm parla con l'altra rappresentante della Cassazione al Csm, Maria Rosaria Sangiorgio e con Valerio Fracassi di Area. La «promozione» di Franco faceva parte di accordi tra correnti, un pacchetto di nomine per cui se si vuole che passi uno si vota su tutti. Questo era il sistema e Aprile, che non era convinto del merito di Franco, anche dopo l'intervento di Lupo che invece ha raccontato di stimarlo, scelse un'astensione che non pesò sul risultato finale.

La domanda sarebbe: Aprile aveva dubbi sul collega perché in camera di consiglio aveva cercato di registrare o per altri motivi? Su quanto accadde quel primo agosto 2013 è possibile che il magistrato venga chiamato a rispondere al Csm, perché se sette anni dopo gli eventuali reati sono prescritti, per gli illeciti disciplinari, invece, si contano 10 anni. La violazione dell'obbligo di denuncia, anche se prescritta nel penale, integra comunque un illecito disciplinare, per omessa comunicazione al capo dell'ufficio di (presunte) interferenze.

Con Aprile potrebbe finire sotto processo disciplinare Giuseppe Di Marzo, perché Franco è morto un anno fa e sono in pensione Esposito e Claudio D'Isa (anche lui incappato in un processo disciplinare che ha evitato lasciando la toga). Forse, a quel punto, qualcuno sarebbe costretto a buttar giù il muro del silenzio.

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