Così un dossier avvisò Conte: "Mascherine false e strapagate"

Il documento al centro delle tante inchieste su business milionari e appalti che sfiorano pure Palazzo Chigi

Così un dossier avvisò Conte: "Mascherine false e strapagate"

Traffico di influenze, mascherine farlocche ma strapagate, emissari dei Servizi mandati dall'allora premier Giuseppe Conte alla Protezione civile e alle Dogane a «vigilare» su un business da miliardi di euro. Le inchieste sull'emergenza Covid si intrecciano dopo la puntata di Report che lunedì sera ha svelato l'esistenza di un dossier, finito in Procura, nel quale dalle Dogane sarebbe stato segnalato per tempo all'esecutivo l'esistenza di una speculazione sulle mascherine farlocche, soprattutto quelle in arrivo dalla Cina. A quanto risulta al Giornale ci sarebbe anche un documento sempre delle Dogane datato 22 aprile con un elenco di fornitori cinesi «attendibili» che però sarebbe rimasto lettera morta. Tanto che persino il Cts si sarebbe rivolto ad altri soggetti, alcuni dei quali (spuntati come funghi per l'emergenza) avrebbero poi inondato l'Italia di mascherine taroccate. Con un'aggravante: alla Procura di Roma che indaga anche su Luca Di Donna (l'ex socio di Giuseppe Conte con un incarico anche alle Dogane) risulta che per almeno un paio di mesi (luglio e agosto 2020) i controlli sulle mascherine acquistati dall'allora commissario all'emergenza Domenico Arcuri - indagato per la maxi provvigione da 801 milioni di mascherine assieme al giornalista Mario Benotti - sarebbero stati «congelati» su input dello stesso Conte, che ad Arcuri ha garantito una sorta di salvacondotto sulla gestione della pandemia. «A me Di Donna chiese palesemente una tangente sulle mascherine», ha ribadito a Report l'imprenditore Giovanni Buini, puntando il dito sul legale molto amico di Conte. L'ex premier ammette: «C'era confidenza ma non l'ho mai ricevuto a Palazzo Chigi».

Sarà compito dei pm romani Gennaro Varone e Fabrizio Tucci, che lavorano sull'ipotesi di frode nelle pubbliche forniture, chiarire la vicenda e valutare se sulle mascherine false (su cui ci sono altre Procure, la Finanza e la polizia) le Dogane siano complici o meno. Il direttore dell'Agenzia Marcello Minenna, accusato da Report di non aver vigilato abbastanza, non commenta. Ma dal suo entourage fanno trapelare che sono state le Dogane a trovare le mascherine farlocche e a segnalarle. È anche vero che, grazie all'escamotage del declassamento a «mascherina di comunità», alcuni stock di materiale con marchio CE contraffatto, anziché essere sequestrati e distrutti come conferma una recente sentenza della Cassazione, sono finiti financo negli ospedali sul mercato grazie a un'autocertificazione prevista dal decreto Cura Italia dello stesso Conte e da un protocollo interno delle Dogane. Il timore dei magistrati è che le mascherine fallate, circolate nonostante un dossier avesse segnalato tutto al governo, abbiano persino contribuito a diffondere il virus anziché frenare i contagi. «Sono state sdoganate sfruttando anche un'esenzione dell'Iva che non era dovuta - dice al Giornale una fonte molto vicina alle Dogane - presto la Corte dei Conti Ue ci chiederà indietro i soldi». Chi pagherà? E il salvacondotto di Conte salverà Arcuri? Vedremo.

E resta anche il mistero sulla mancata zona rossa ad Alzano e Nembro. L'altro giorno davanti ai pm di Bergamo che indagano per epidemia colposa, alla presenza del perito della Procura Andrea Crisanti, l'ex dg del Welfare della Lombardia Luigi Cajazzo, ha ribadito di non aver mai ordinato la riapertura del Pronto soccorso di Alzano. Sul perché l'esecutivo Conte mandò i soldati il 3 marzo, poi li ritirò prima di chiudere tutta l'Italia l'8 marzo è giallo. Quanti morti è costata questa indecisione? Lo ha stabilito un dossier di Crisanti.

Eppure, nonostante il pressing di familiari e dell'agenzia Agi il governo ha opposto il segreto di Stato sulla decisione per «sicurezza nazionale», negando «alcun atto governativo specifico di impiego dei militari». Quale verità si nasconde?

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