Un giorno, navigando in rete, sono incappato in tre elaborati di Lucia Azzolina pubblicati su www.tesionline.it, due tesi di laurea e una tesi prodotta per la Scuola di specializzazione per l'insegnamento secondario della Toscana (Ssis), frequentata dalla neoministra a Pisa fra il 2008 e il 2009. Mi sono subito reso conto, a una rapida lettura delle tre pagine introduttive del lavoro (disponibili gratuitamente), che qualcosa non quadrava.
Un brano, ben noto agli addetti ai lavori, non era correttamente citato (niente virgolette, nessun rinvio in nota) e non era neanche elencato nella bibliografia finale. Ho così esaminato con cura quelle tre pagine, finendo per scoprire che la metà all'incirca di quel che vedevo scritto non era farina del sacco di Lucia Azzolina. Ne è scaturito il mio primo articolo per Repubblica, cui va tutto il merito di aver reso il caso di dominio pubblico e di averne accompagnato i successivi sviluppi (a quel primo pezzo ne sono seguiti infatti altri due, per il sito del giornale, nei quali ho potuto dar conto dei risultati dell'analisi condotta sull'intero testo).
Le parole rubate Sono ben 1.542 le parole finora accertate che Lucia Azzolina ha fatto illegittimamente sue in quell'elaborato (Un caso mentale lieve associato a disturbi depressivi). Il lavoro, di 41 pagine, si compone di 8.648 parole (la neoministra ha dunque scopiazzato in una percentuale del 17,831%) e tutti i passi contenenti quelle «rubate» dall'onorevole non sono stati riportati fra virgolette e non sono accompagnati da note di rinvio alle fonti, del tutto assenti nella bibliografia finale (qualche sigla sparsa qua e là non fa testo). Stiamo parlando di 32 brani copiati di sana pianta da lavori altrui, ed è inutile provare a sostenere che si tratterebbe di definizioni circolanti nel settore, al punto da poter essere di uso comune.
Azzolina vs Madia Il Decreto Ministeriale del 26 maggio 1998 («Criteri generali per la disciplina da parte delle università degli ordinamenti dei Corsi di laurea in scienze della formazione primaria e delle Scuole di specializzazione all'insegnamento») recitava all'art. 2, comma 8: «L'esame per il conseguimento del diploma di laurea o di specializzazione comprende la discussione di una relazione scritta relativa ad attività svolte nel tirocinio e nel laboratorio. Della relativa commissione esaminatrice fanno parte sia docenti universitari sia insegnanti delle istituzioni scolastiche interessate che abbiano collaborato alle attività del corso di laurea o della scuola» (il decreto specificava anche che i regolamenti didattici dei singoli atenei potevano «disporre che la relazione di cui al comma 8» potesse essere «integrata da uno specifico lavoro di tesi»).
Il lavoro che ha consentito alla neoministra Azzolina di abilitarsi è dunque un documento ufficiale, indispensabile per il conseguimento del titolo. Sul frontespizio c'è scritto «Tesi» ed è riportato anche il nome dello psichiatra (Gianluca D'Arcangelo) che ha seguito l'onorevole prima della discussione collegiale finale. Si tratta perciò di una tesi a tutti gli effetti. A confermarmelo è stato Stefano Malvagia, al tempo il funzionario coordinatore, con un contratto a tempo determinato (ora indeterminato), della segreteria della Ssis Toscana, fra le eccellenze del settore. La Ssis Toscana, con sede operativa a Pisa, agiva secondo quanto previsto dall'art. 2, comma 6.e del Decreto Ministeriale del 26 maggio 1998. «Si richiedeva la stesura di un lavoro che integrasse la sezione laboratoriale o di tirocinio», mi ha riferito telefonicamente il funzionario, «con un'introduzione teorica». Sull'argomento, definendolo una semplice relazione di tirocinio, Lucia Azzolina ha dunque mentito. Negli anni, ha anche aggiunto Stefano Malvagia, «quando ci è riuscito di farlo con gli strumenti di cui disponevamo, abbiamo respinto diversi studenti proprio per i plagi riscontrati, anche arrivando a negare l'abilitazione, e in qualche occasione abbiamo perfino registrato (per la sede di Firenze) casi di passaggi di intere tesi da abilitati nei cicli precedenti ad abilitandi nel ciclo in svolgimento».
Gli altri brani copiati Devo a un post su Faceboook di Lorenzo Galliani se sono riuscito a scoprire, in aggiunta a quello da lui segnalato, altri luoghi significativi nei quali la neoministra ha riprodotto brani altrui senza indicare le fonti (dirette o indirette) dei suoi prelievi, anche in questo caso assenti nelle rispettive bibliografie. Galliani, nel suo post, ha riconosciuto in un intervento pubblicato sul blog di un professore di Gorizia, Antonio Vecchia (morto nel maggio del 2016), la fonte di un passo della tesi magistrale discussa dalla neoministra nell'anno 2007-2008 all'Università di Catania (il titolo: Rousseau e Voltaire: il terremoto di Lisbona). Gran parte del pezzo uscito su quel blog, aggiornato l'ultima volta il 12 ottobre 2003, era già presente in un articolo in rivista del 2006 (Walter Joffrain, Quando la terra trema, «KOS», giugno 2006).
Al luogo scovato da Lorenzo ne ho aggiunti altri otto (leggi il documento), cinque dei quali individuati nella laurea di primo livello dell'on. Azzolina, Rousseau politico: dai due Discorsi al Contratto sociale (anno accademico 2003-2004), discussa sempre all'Università di Catania. Ce ne sarebbe anche un decimo, segnalato da un articolo del Fatto Quotidiano del 21 gennaio scorso (questa la fonte, stavolta citata in bibliografia: Roberto Gatti, L'enigma del male. Un'interpretazione di Rousseau, Roma, Studium, 1996), ma non ho potuto controllare. Tutte le fonti, forse a eccezione di una (online e non datata, e per la quale ho chiesto agli interessati ma sono in attesa di una risposta), sono anteriori alle due tesi redatte dall'onorevole Azzolina. La relazione presentata per la Ssis e le due tesi catanesi si possono peraltro acquistare sul sito www.tesionline.it per 30,50 euro. L'autrice incassa per ogni copia venduta, a partire dalla seconda, 12,25 euro lordi.
Sono consapevole delle conseguenze che questo mio ulteriore pezzo sulla vicenda che vede coinvolta la ministra Azzolina potrebbe avere per me, per la mia figura, per la mia vita privata e professionale. Mando però ogni giorno a memoria la parola coraggio, e se il coraggio non lo facciamo uscire quando conta, in un'ottica di servizio pubblico e di ricerca della verità, allora tutto diventa inutile.
Diviene privo di senso battersi per un'idea o un ideale, quando davvero serve, se non ci si sacrifica, se non si pospongono le pur legittime esigenze, opportunità o aspirazioni personali ai superiori interessi collettivi.
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