La Gomorra immaginaria di Saviano ha oscurato la realtà di Scampia

Scampia non è una serie tv

La Gomorra immaginaria di Saviano ha oscurato la realtà di Scampia
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«Saviano: che cosa avete fatto per Scampia mentre si accendevano i riflettori di Gomorra?». Il titolo era sul Corriere di mercoledì e l'articolo l'ha scritto Roberto Saviano, l'unico opinionista che si firma anche nel titolo. Dopo il crollo alle Vele forse possiamo rispondergli subito: che cosa abbiano fatto per Scampia mentre si accendevano i riflettori di Gomorra? Risposta: abbiamo guardato la tua serie, testa di cacchio, abbiamo assistito alla tua bramosa incapacità di fermarti dopo aver scritto un libro eccellente (perché noi ce ne fottiamo dei plagi e degli editor) che è stato l'unico riflettore che ha raggiunto chi doveva raggiungere: la classe informata, quella che legge i libri, quella che sposta i consensi e raggiunge la classe politica e giudiziaria del Paese.

Abbiamo guardato la tua serie che ha trasformato le Vele di Scampia in scenografie di rinomanza mondiale la cui rinnovata fama (al pari della popolarità della camorra) ha rinnovato anche la torva attrattiva e il potere di fascinazione sulla masse: intese come coloro che un libro non l'hanno mai preso in mano, ma un telecomando sì, e spesso anche una pistola. E forse è anche questo, oltre naturalmente a quel certo incanto campano che ferma il tempo come un buco nero, ad aver rallentato le sacrosante demolizioni del 1997, 2000, 2003 e 2020: ne restavano tre, mentre l'ultima verrà «riqualificata» (questa è buona) quando quegli orrendi formicai, quegli Arbeiterhok di ispirazione sovietica, andavano soltanto disintegrati perché simbolo del malfamato, del traffico illecito, del degrado, delle sentinelle a sorvegliare il sonno di uno Stato sconfitto.

L'inefficienza è tale, da quelle parti, che non funzionò neppure il tritolo: servì una seconda carica per abbattere la prima Vela, e già allora si parlò di «rinascita», come anche nel 2020, quando si cercò di rinnovare «lo spirito architettonico del tempo, l'Existenzminimum» (Repubblica, febbraio 2020, altro articolo tuo, cioè di Saviano) che doveva ridurre l'appartamento al minimo e spingere l'esistenza abitativa «fuori», collettivamente: in altre parole, la Napoli neorealista.

Prendi un ragazzino, Saviano, e digli «Napoli»: ti cita le Vele, di sicuro; e se va a Napoli, vuole vederle. Che è come se russi e statunitensi non avessero bombardato il Reichtag per farne un museo e girarci sceneggiati. Ora il signor coda di paglia incolpa «i napoletani dei quartieri alti», i quali «si lamentano perfino di una metropolitana che collega il quartiere degradato al Vomero, che vorrebbero tenere in una campana di vetro», mentre discolpa, Saviano, sé medesimo: «Io, a portare attenzione e luce su un quartiere devastato, ci ho provato e ho avuto la vita rovinata. Voi, esattamente, cosa avete fatto?». Già detto: abbiamo guardato la tua «Gomorra, La serie» che riqualificava l'immagine della Camorra (non lo diciamo noi, ormai lo dicono tutti) con centinaia di ragazzini che intanto sfilavano per i casting, coi tagli di capelli e i tatuaggi ispirati agli attori e alla griffe culturale «da un'idea di Roberto Saviano».

Ma la colpa, secondo te, secondo Saviano, è genericamente «nostra»: «Gomorra ha provato a portare un'attenzione che non avete voluto dare nel crollo della Vela celeste sento che è morto il sangue del mio sangue». Puoi dirlo forte: assieme a 13 feriti.

Poi, siccome mancava, la perfetta scemenza finale a difesa di una «terra che dalle politiche di questo governo, anche peggiore di tutti quelli che lo hanno preceduto, ha avuto il colpo di grazia». Insomma, colpa nostra. E dei napoletani dei quartieri alti. E naturalmente del governo. Da un'idea (scema) di Roberto Saviano.

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