Cosa ne pensano i candidati alle Europee della libertà di scelta educativa?

Perché, dopo aver pagato le tasse, i genitori italiani (caso unico in Europa) non possono scegliere dove educare i propri figli?

Cosa ne pensano i candidati alle Europee della libertà di scelta educativa?

Come ogni 5 anni, i cittadini dei 28 stati membri dell’Unione Europea (più di 503 milioni di abitanti) sono chiamati a rinnovare i 751 deputati dell'Europarlamento. L'Italia è chiamata al voto e a presentarsi in Europa con il capitolo scuola, la più grave eccezione in Europa in termini di garanzia della libertà di scelta educativa, con il sistema scolastico più costoso e meno efficiente nei risultati OCSE-PISA. Proprio a causa di queste criticità di base, è necessario indicare agli elettori i candidati europei che hanno preso a carico il problema.

Tra gli alleati di Governo nessuno ha osato farlo perché questo tema è altamente divisivo e negli anni ha fatto cadere i governi e ha visto cambiare vorticosamente gli inquilini di viale Trastevere. Di conseguenza è un tabù: meglio non parlarne, meglio per i candidati accampare la classica scusa “…ma l’Europa non ha competenza sull’Italia, se non di consigliare di garantire la libertà di scelta educativa”. Risultato: stiamo depauperando un patrimonio storico culturale, stiamo impedendo la libertà di scelta educativa, sprechiamo 7 miliardi annui di tasse dei cittadini, per un sistema scolastico inefficiente e ingiusto, senza un minimo di ribellione al pensiero di poter essere liquidati con un accordo di governo che tace su questo tema perché il governo cadrebbe miseramente.

Nessuno quindi si senta più legittimato a far finta di niente; occorre prendere posizione e il silenzio equivale ad una chiara dichiarazione: “I genitori in italia non hanno il diritto di scegliere l’educazione dei figli; per loro provvede lo Stato italiano attraverso la scuola unica (come nei peggiori regimi), a fronte di una spesa di 10 mila euro all’anno per allievo”. Ci si domanda: perché, dopo aver pagato le tasse, i genitori italiani (caso unico in Europa) non possono scegliere dove educare i propri figli? Perché devono pagare due volte la libertà? Questa rimane certamente, oggi, la madre di tutte le domande, ancor più per dei candidati che si presentano agli elettori per rappresentare l’Italia in Europa.

Sembra quasi di vedere, affisso sul portone di certe scuole pubbliche (paritarie), un cartello sinistramente evocatore: «Qui disabili e poveri non entrano» perché lo Stato rifiuta di garantire un diritto che pure ha riconosciuto...Una voce tra le tante, da una scuola pubblica paritaria di Foggia: «Noi ci sentiamo impotenti. Questa Italia, questa Patria che tanto amiamo non la riconosciamo più. Diritti che vengono negati ai cittadini e privilegi ai potenti e politici! Sembriamo vivere come avatar e questa vita non ci appartiene. A scuola insegniamo che non possiamo decidere quello che ci accade, ma possiamo decidere come reagire a ciò che accade. Ma noi che cosa stiamo facendo? Perché, all'ennesimo battibecco tra politici, la gente non scende in piazza? Sono questi i politici che ci meritiamo? Abbiamo bisogno di gente che, prima di parlare, ponderi le parole.

Giovanni Falcone, che avrebbe compiuto 80 anni il 18 maggio, sottolineava che le parole hanno un peso e vagliava attentamente quelle che utilizzava. Ci chiediamo, allora, dove stiamo andando. Ci sentiamo abbandonati da tutti. In fondo i politici non ci ascoltano e, sentendoci ignorati, avendo come genitori innumerevoli difficoltà, ci abituiamo a non scegliere e ai nostri figli lasciamo una società sempre meno democratica".

Ed ancora, da anni nella scuola la parola d'ordine è “inclusione”: i primi ad essere emarginati sono proprio i docenti delle scuole paritarie e, ampliando il raggio, la scuola paritaria stessa. Come si fa a spiegare ai docenti delle scuole paritarie che, pur pagando le tasse e ottemperando a tutti i loro doveri come i docenti della scuola statale, non hanno diritto ai 500 euro per la formazione? Si sono laureati, hanno un';abilitazione come i loro colleghi, ma non hanno diritto a partecipare neppure alla formazione con i fondi PON nelle scuole statali! Non viene riconosciuto l'anno di servizio, non possono partecipare ai concorsi... Ma perché? Se la scuola è paritaria e i docenti sono tenuti ad espletare la funzione docente come se fossero in una scuola statale, perché questa discriminazione, perché questa schizofrenia?

La scuola, che dovrebbe essere inclusiva, esclude: qualcosa non quadra! Chi ascolta questi docenti? Risuona, più attuale che mai, la domanda di don Luigi Sturzo: «Ci sono ancora uomini liberi e forti?». Se ci si crede, si denuncia, ma soprattutto si ha il coraggio di rompere quel clima omertoso dove nessuno è responsabile e dove tutti sono troppo occupati... Ci avviamo alle Elezioni Europee: i candidati che fanno finta di niente e i cittadini che invitano al politicamente corretto (che di corretto ha ben poco) si sentano autori di quella che è la più grave ingiustizia mai perpetrata, perché mira a ridurre tutti a semplici sudditi da poter agevolmente manovrare.

I candidati alle Elezioni Europee, che si presenteranno in un consesso dove tali questioni sono felicemente risolte da anni, non possono sottrarsi, nel redigere i propri programmi elettorali, alla responsabilità di prospettare soluzioni reali alle questioni sopraelencate, sulle quali l’Europa ha le idee chiare. Auspicando che spieghino con chiarezza agli elettori quanto intendono fare in proposito, si chiede, in sintesi, che vengano garantiti: 1) il diritto degli alunni a studiare in buone scuole pubbliche - statali e paritarie - senza alcuna discriminazione economica; 2) il pluralismo educativo in Italia, garantito da scuole veramente buone, pubbliche statali e pubbliche paritarie, entrambe certificate dallo Stato, come avviene in tutta Europa; 3) il diritto dei docenti, a parità di titolo e stipendio, di scegliere se insegnare in una scuola pubblica statale o pubblica paritaria, come pure avviene nella Comunità europea.

Ricerche accurate hanno già ampiamente dimostrato che l’unica strada possibile per uscire da una situazione già drammatica, sia per la scuola pubblica statale che per la pubblica paritaria, è quella di riconoscere alla famiglia il suo diritto di educare liberamente i figli. Come? Attraverso il costo standard di sostenibilità; esso prevede che alla famiglia venga data una quota (di circa 5.500 euro annui per studente) da spendere per l’istruzione dei figli. Sarà poi la famiglia stessa a decidere dove spendere tale quota, se in una scuola pubblica statale o in una scuola pubblica paritaria. Il ruolo dello Stato in tutto questo? Quello di garante e controllore.

Non ci può essere libertà di scelta educativa se non viene garantita la libertà economica per il suo esercizio.

Il costo standard costituisce da questo punto di vista l’unica risposta
possibile, onesta e di buon senso, capace di innescare un meccanismo virtuoso di garanzia dei diritti riconosciuti, a costo zero. Questo l’impegno concreto richiesto all’Italia che vuole stare in Europa. Tertium non datur.

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