Gli è andata bene. Anche se ieri Alfredo Cospito, l'anarco-insurrezionalista divenuto il simbolo della lotta al 41 bis e al carcere duro, si vede aumentare di tre anni, da venti a ventitrè, la pena per il più grave dei suoi delitti, il suo legale non nasconde la sua soddisfazione. Per l'accusa di avere piazzato una bomba, un ordigno micidiale riempito di biglie di ferro per aumentare il potenziale letale, davanti alla caserma dove ragazzi di vent'anni frequentavano la scuola per diventare carabinieri, Cospito rischiava la condanna all'ergastolo. Per questo la Cassazione aveva ordinato un nuovo processo, e la possibilità si era fatta concreta quando la settimana scorsa, nella sua requisitoria, il procuratore generale Francesco Saluzzo aveva chiesto la condanna al carcere a vita: anche se per puro caso non aveva fatto vittime, per il pg la bomba piazzata da Cospito e dai suoi compagni davanti alla scuola allievi di Fossano (Cuneo) puntava a una strage terrorista contro un articolazione fondamentale dello Stato.
Da quell'attentato sono passati diciassette anni, nel frattempo Cospito da ultrà semisconosciuto è finito sulle prime pagine grazie allo sciopero della fame che ha rischiato di mandarlo al Creatore. Il 41 bis non gli è stato tolto, lui comunque ha deciso di tornare a mangiare: un po' perché riteneva raggiunto il risultato mediatico, un po' perché ha forse capito che morire per una idea impopolare come l'abolizione del carcere duro non era una trovata sensata.
Ieri la Corte d'assise di appello di Torino si trova a giudicare un uomo di cui si sa già che il prossimo futuro sarà in una cella di massima sicurezza, blindato da qualunque contatto con l'esterno. Anche questo forse spinge giudici e giurati a non infierire: se Cospito è un nemico dello Stato è comunque un nemico ferito, neutralizzato. Lui, l'anarchico, fa di tutto per non impietosire la Corte. Prende la parola in videocollegamento dal carcere di Sassari per rivendicare una prassi di bombe innocue, «in vent'anni di attentati di sigle anarchiche non c'è stato mai un morto, non credo sia stato un caso, vent'anni di attentati in piena notte in piazze deserte senza neanche un ferito, chiaramente tutti attentati dimostrativi». Sarebbe inclemente ricordargli che l'unico delitto di cui è reo confesso è l'attentato al dirigente dell'Ansaldo Francesco Adinolfi, che fu tutt'altro che «dimostrativo» e rischiò di uccidere il manager, colpevole solo di lavorare per un'azienda nucleare. Insieme a Cospito viene condannata alla stessa pena la sua compagna Anna Beniamino. «Siamo assolutamente soddisfatti, avevamo timore che potesse andare molto, molto peggio», dice il legale della coppia Flavio Rossi Albertini. D'altronde nella sua requisitoria il procuratore generale Saluzzo - il magistrato che per primo ha chiesto e ottenuto che Cospito venisse destinato al carcere di massima sicurezza per stroncare i suoi collegamenti con i terroristi all'esterno - aveva avuto toni pesanti, «a Fossano l'azione è stata micidiale e il pericolo massiccio. Non è stata una somma di petardi, ma esplosivi con un discreto potenziale. E poi abbiamo la rivendicazione che Cospito fa di quell'atto, l'obiettivo di Cospito e Beniamino non erano i cittadini o i passanti, ma le istituzioni». Per questo Saluzzo aveva chiesto per il leader della Fai, la Federazione anarchica insurrezionalista, il carcere perpetuo.
Per evitare a Cospito il «fine pena mai» la Corte d'assise ha dovuto qualificare l'attentato di Fossano come «fatto di lieve entità».
Proprio su questo discutibile giudizio potrebbe far leva il ricorso in Cassazione della Procura generale torinese: «aspettiamo di leggere la sentenza - dice Saluzzo - se ci sarà spazio per denunciare un vizio di motivazione ricorreremo sicuramente».
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