Ha partecipato qualche giorno fa all'accoltellamento di un marocchino, ma per il resto si è comportato bene. Non solo: è seguito dalla Caritas. Dunque, per il giudice di pace non c'è motivo di rinchiuderlo nel cpr di Ponte Galeria a Roma. E l'espulsione resta un pezzo di carta. Come per l'ecuadoregno G.A., classe 1989, condannato per una sfilza di reati e considerato «socialmente pericoloso». G.A. ha un curriculum di tutto rispetto: produzione e traffico di stupefacenti, rapina, lesioni. Ma anche lui è libero. Il motivo? Il giudice di pace della capitale vuole vederci chiaro su una norma del testo unico dell'immigrazione che riguarda la detenzione amministrativa nei cpr. Questa norma potrebbe essere in contrasto con la Costituzione. Anche se è lì dal 1998. Ventisei anni fa. E così la toga fa a pezzi il provvedimento di trattenimento disposto dalla questura di Perugia.
Per O.F., nato in Nigeria il 14 gennaio 2001, è invece il questore di Imperia a disporre la residenza nel cpr della capitale. È lo stesso giovane a raccontare la propria storia: «Quando sono arrivato sono stato accolto in un centro perché minorenne e ho lavorato». Poi le cose cambiano. Segue la trafila classica, fra richieste, appuntamenti con le autorità, dinieghi. «Sono rimasto a Genova fino al 2023 - prosegue - e poi a Ventimiglia nel 2024, dove ho trovato ospitalità presso la Caritas. Facevo l'elettricista e lavori come muratore, ho fatto un po' di tutto, distribuivo volantini, quello che capitava». Una vita di espedienti, da irregolare, finché il 10 ottobre scorso il nigeriano viene coinvolto nell'accoltellamento di un marocchino. Lui prova a sminuire: «Posso dire che sono stato aggredito da una persona di nazionalità marocchina che insieme ad altre persone ci ha aggredito mentre preparavamo da mangiare, abbiamo litigato ma non sono stato io a colpire il marocchino con il coltello ma altri che erano con me». È la situazione canonica da cpr. I cpr, centri di permanenza per i rimpatri, sono stati pensati proprio per fronteggiare le situazioni più difficili e potenzialmente pericolose. Stranieri che non hanno titolo per rimanere nel nostro Paese e anzi sono stati espulsi. Spesso con grappoli di condanne sulle spalle. Ma naturalmente rimangono in Italia e allora devono essere messi su un aereo per il rimpatrio. Un'operazione non facile che richiede tempo: ecco dunque la detenzione amministrativa, in questo caso nel cpr di Ponte Galeria. In attesa del volo. Ma il giudice di pace la vede in un altro modo: «Non emerge alcuna altra notizia di reato nel periodo relativamente lungo 2018-2024 in cui il cittadino straniero si è inserito nel contesto sociale, mentre il reato ascritto appare posto in essere in concorso con altri, né emerge un ruolo preponderante o decisivo nella commissione dello stesso». Non basta: «il cittadino appare inserito socialmente, essendo supportato da associazioni quali la Caritas». Il coltello deve essere stato un incidente di percorso: il provvedimento del questore non viene convalidato e l'uomo torna libero.
Come l'ecuadoregno, dipinto come un pericolo pubblico. Anche il giudice di pace è d'accordo. Il sudamericano vanta un palmares impressionante. Dovrebbe essere rinchiuso a Ponte Galeria, come stabilito dal questore di Perugia, in attesa di partire per l'Ecuador. Tutto giusto, ma insufficiente per confermare il fermo: il giudice decide di mettere nel mirino una norma del 1998, vagliata finora da centinaia di magistrati, che regola appunto la permanenza forzata nei cpr.
La detenzione amministrativa dovrebbe essere regolata per legge, secondo il giudice, e non affidata a norme di rango secondario. E dovrebbe essere dettagliata, come accade per i carcerati. Così i quesiti vanno alla Corte costituzionale, G.A. invece torna in strada.
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